Anniversario
“Quelli che non contano per la società, i condannati a vivere senza nome, danno nome al nuovo pontificato. E senso”. Lo scrive José Beltran, giornalista, nell’articolo pubblicato da “L’Osservatore Romano”, nel numero di domani (in distribuzione da oggi pomeriggio), dedicato alla parola “poveri”, terza di cinque parole nel quinto anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Ricordando il primo viaggio a Lampedusa, sottolinea che “la valigia papale da allora viaggia tra i sobborghi del mondo” “per lavare i piedi a un migrante musulmano e per tendere la mano agli oltraggiati rohingya”. “Dalla periferia al centro, Francesco abbraccia la povertà come stile di vita. Una provocazione”. “Perché la povertà ha un cattivo odore, non è fotogenica e comporta solo problemi – aggiunge Beltran –. Lo sa bene il pastore che ha percorso in lungo e in largo le villas di Buenos Aires, che ha voluto complicarsi la vita con i ‘cartoneros’, con i bambini dipendenti dal ‘paco’ e con le madri sole. E come Papa ha complicato la vita a più di una persona che preferiva guardare da lontano quella realtà. O al massimo toccarla con guanti sterilizzati”. E ancora. “Francesco ha fatto scendere la Chiesa dall’automobile ufficiale della falsa compassione per sporcarsi di fango. Non si è perso in discorsi da salotto, ogni giorno pronuncia a Santa Marta l’omelia dell’austerità, dell’umiltà e della semplicità che nasce dalla stalla di Betlemme”. “Perché abbracciare la povertà per lui non è un postulato etico né mero assistenzialismo. È il Vangelo, scoprire il volto di Gesù nello sguardo dell’indigente che penetra dentro. È commuoversi fino alle viscere come il padre del figliol prodigo, per ribellarsi contro le situazioni d’ingiustizia che hanno portato a creare ghetti in tutti i popoli”. Beltran indica “la premessa bergogliana”: “Sono io privilegiato a essere in debito con il povero e non il contrario”. “Perciò – conclude – questo è un papato scomodo. Per il primo Papa latinoamericano abbracciare la povertà è denunciarne le cause e combatterle”.