Minoranze cristiane

Pakistan: mons. Coutts (Karachi), “situazione incerta per le elezioni. Non ci sono condizioni per visita Papa”

“Siamo in una fase in cui il governo ha molti problemi: il primo ministro è stato deposto dalla Corte suprema e siamo in attesa delle elezioni. Quindi non è il momento giusto per parlare di una visita del Papa in Pakistan”. A parlare al Sir è  monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, all’indomani della visita ad limina in Vaticano.

Al momento non ci sono le condizioni per una visita di Papa Francesco in Pakistan. E anche la possibilità di una soluzione del caso di Asia Bibi è molto lontana, così come l’apertura di un processo di canonizzazione di Shahbaz Bhatti. Lo ha detto monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, che abbiamo incontrato a Roma all’indomani della visita ad limina in Vaticano. La minoranza cristiana in Pakistan continua a soffrire a causa dell’insicurezza, della legge sulla blasfemia, in una situazione politica di incertezza finché non si sapranno i risultati delle elezioni presidenziali previste nel mese di luglio.

Quali parole di Papa Francesco si porterà a casa?
Gli abbiamo parlato della situazione dei cristiani in Pakistan. E’ stata una conversazione molto informale e cordiale: eravamo seduti in cerchio, ciascuno di noi ha parlato di temi diversi. Papa Francesco è stato molto comprensivo, aperto, ci ha invitato a fargli delle domande. Il Papa si pone come un padre o un fratello maggiore. Ci ha detto: siamo tutti fratelli. E’ molto preoccupato per le nostre difficoltà e ha ascoltato con molta pazienza ed empatia. Lo abbiamo sentito come un amico che vuole aiutarci, questo è molto incoraggiante per noi. Papa Francesco è un vero pastore, ci ricorda che i vescovi devono stare vicino alla gente, come i pastori che hanno l’odore delle pecore. Ed è il primo a dare l’esempio. Non parla dall’alto, di teorie o leggi, ma cerca di capire le speranze e le aspirazioni della gente.  E’ con noi.

Quali sono al momento le vostre maggiori preoccupazioni?
Quest’anno abbiamo le elezioni non sappiamo cosa aspettarci perché ci sono molti problemi. Non emergono leader forti e saggi.

Non sappiamo che direzione prenderà il Paese.

In questo momento ci sono due grandi partiti politici, quello al governo e quello che governava prima. Ma il quadro non è ancora chiaro. Appena tornati in Pakistan ci incontreremo tra vescovi per parlare della situazione nazionale. In quell’occasione è probabile che faremo una nota.

Intanto la legge sulla blasfemia continua a mietere vittime…
Sì molti cristiani e musulmani sono colpiti dalla legge sulla blasfemia. Lo scorso anno è stato ucciso un giovane in un campus universitario: la famiglia è certa che non aveva detto nulla contro il profeta Maometto ma i fanatici usano la legge come vogliono. I casi sono tanti, è un grande problema, perché chiunque può usare la legge come pretesto per mettere nei guai qualcuno. Ed è molto difficile provare la propria innocenza.

A livello politico non c’è un dibattito per una possibile abolizione della legge?
E’ un obiettivo lontano. Perché i gruppi estremisti sono diventati molto forti, sono ben armati e pronti ad attaccare. E anche per il governo è difficile controllarli. La pressione non viene dal Parlamento ma da fuori, dalla società, dalla gente, dai fanatici.

Quindi nemmeno il caso di Asia Bibi, la donna cristiana madre di 5 figli condannata a morte, è vicino ad una soluzione…

No, perché è diventato un caso politico.

Non dimentichiamo che in carcere ci sono tante persone a causa della legge contro la blasfemia, non solo Asia Bibi. Abbiamo una Commissione giustizia e pace, una Commissione per i diritti umani e molti altri gruppi impegnati in quest’ambito ma siamo ad un punto morto.

Giorni fa sono stati celebrati i 7 anni dall’assassinio di Shahbaz Bhatti, il ministro per le minoranze religiose ucciso ad Islamabad per il suo impegno contro la legge sulla blasfemia. Come lo ricorda?
L’ho conosciuto personalmente, era un persona molto gentile, sincera e socialmente impegnata, rispettata da tutti perché non corrotto come altri politici. Prima era stato un attivista per i diritti umani, per i diritti dei lavoratori, solo dopo ha deciso di entrare in politica. Quando ha ricevuto le minacce dai gruppi estremisti alcuni amici gli consigliarono di fuggire all’estero ma lui rispose: “Non posso andarmene, non potrei più parlare di verità e giustizia”. Era una persona molto coraggiosa.

Bhatti è diventato un testimone e un esempio per la vostra Chiesa: pensate di aprire una causa di canonizzazione?
Sì era un uomo buono, onesto, coraggioso, non legato a piccole logiche politiche. Aveva una chiara visione davanti a sé, voleva fare qualcosa. Quando parliamo di santi nella Chiesa, c’è bisogno di altre qualità di santità. Era un uomo laico, impegnato nella politica, in tante cose nel mondo, c’è bisogno di molto lavoro per documentare tutte le sue attività.

Il processo di canonizzazione non sarebbe facile.

Io ho avviato la procedura perché ero nella diocesi di appartenenza della famiglia di Shabaz Bhatti ma non rappresento l’autorità competente: la pratica per dimostrare il martirio deve partire dal vescovo della diocesi in cui venne ucciso, ossia Islamabad; ma anche il vescovo di Islamabad è morto un anno fa. Il nuovo vescovo è arrivato solo il mese scorso, deve ancora capire come ricominciare di nuovo. I tempi non saranno rapidi.

La minoranza cristiana è spesso vittima di attacchi alle chiese, avete paura?

Personalmente non ho paura. Ma il governo ci ha avvertito:

se organizziamo un grande evento, sociale e religioso, potremmo diventare un obiettivo facile per i kamikaze.

Prima di Natale una guardia della sicurezza ha bloccato un uomo che ha cercato di entrare in una chiesa per fare una strage. In un Paese così grande non è facile assicurare la sicurezza di chiese, scuole e moschee. Ma c’è molta collaborazione: se devo organizzare un incontro chiamo la polizia e il governo manda poliziotti nel compound cattolico.

C’è la possibilità di una visita del Papa in Pakistan?
Nel 2015 il governo di Nawaz Sharif mandò due ministri in Vaticano. Il Papa disse: sì, vorrei visitare il Pakistan. Ma non è così semplice perché il Papa è anche un capo di Stato quindi deve ricevere un invito ufficiale dall’attuale governo del Pakistan. Siamo in una fase in cui il governo ha molti problemi: il primo ministro è stato deposto dalla Corte suprema e siamo in attesa delle elezioni.

Quindi non è il momento giusto per parlare di una visita del Papa.