Disoccupazione e politica

Primo, il lavoro

Uno dei punti di maggior gravità in qualsiasi trattativa e in qualsiasi programma di governo è quello del lavoro, di cui si celebra, per così dire, la “festa” il 1° maggio. Quello di porre rimedio alla disoccupazione diventa un problema e un obiettivo principe per qualsiasi governo. Le varie scorciatoie ventilate o proposte – dal reddito di inclusione al reddito di cittadinanza – non possono che essere propedeutiche ad un effettivo inserimento nel mondo del lavoro perché, diversamente, si tradurrebbero in una presa in giro della persona in relazione alla sua dignità e del Paese in relazione alle sue (poche) risorse.

Difficile inseguire l’evoluzione politica di questi giorni, soprattutto per un settimanale, dati i repentini mutamenti d’orizzonte, tra incarichi esplorativi e pronunciamenti contraddittori, pur, almeno apparentemente, in una sostanziale stabilità di “impasse”. Certo, uno dei punti di maggior gravità in qualsiasi trattativa e in qualsiasi programma di governo è quello del lavoro, di cui si celebra, per così dire, la “festa” il 1° maggio. Al di là delle fluttuazioni minime che si rincorrono nei dati Istat (a gennaio 2018 risaliva l’occupazione generale e diminuiva quella giovanile e a febbraio il contrario, ma sempre solo di circa …0,2 punti) e dei relativi differenti parametri (lavoro a tempo determinato o indeterminato, dipendente o indipendente, giovani under 25 o under 35…), di fatto la nostra Italia continua a restare nelle ultime posizioni in Europa (peggio di noi solo Grecia e Spagna). Quello di porre rimedio alla disoccupazione diventa un problema e un obiettivo principe per qualsiasi governo. Le varie scorciatoie ventilate o proposte – dal reddito di inclusione al reddito di cittadinanza (o simili, visto che nel contratto M5S gli si è già cambiato nome…) – non possono che essere propedeutiche ad un effettivo inserimento nel mondo del lavoro perché, diversamente, si tradurrebbero in una presa in giro della persona in relazione alla sua dignità e del Paese in relazione alle sue (poche) risorse. Non mancano incentivi – come quello senz’altro interessante, appena ufficializzato, del “bonus giovani 2018”, che prevede lo sgravio del 50% dei contributi Inps a carico del datore di lavoro per l’assunzione a tempo indeterminato o per la stabilizzazione di contratti a termine di giovani under 30, o under 35 fino al 31/12/18 – e suggerimenti – come quelli emersi dalla ricerca su “I giovani e il mondo del lavoro” del gruppo Value@Work in collaborazione con l’Università Europea di Roma, che ribadiscono l’urgenza di abbattere il costo del lavoro e la necessità di una formazione universitaria più adeguata, oltre ad una disponibilità ed elasticità (temporale e… geografica) da parte dei giovani. Ma è evidente che ogni proposta deve fare i conti con le energie e le risorse: a partire, ad esempio, dalla questione generazionale (con la connessa questione dell’età pensionistica) e dalla questione immigrati (con i connessi rischi di sfruttamento o con le chances di un loro notevole contributo alla crescita del Paese, sempre con la dovuta attenzione alle problematiche di una necessaria condivisa integrazione). E si deve fare i conti ormai – anche i sindacati non possono dimenticarlo – con la rivoluzione occupazionale indotta dalla incalzante globalizzazione (senza lasciarsi tentare dalle controproducenti misure protezionistiche) e dalla crescente tecnologizzazione (senza illudersi di poterla fermare…). Come si vede una “patata bollente” imbarazzante ma ineludibile nelle mani di chi si assume l’onere di governare il Paese. Una questione urgente non solo per il Sud, ma anche per le nostre zone in cui il lavoro stagionale potrà arrecare ora a molti solo un lieve provvisorio sollievo.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)