Conflitti e terrorismo
La pace continua ad allontanarsi; la sua eccentricità spinge i poteri a sostenerne verbalmente il bisogno, ma non ad accompagnarla con provvedimenti idonei a promuoverne lo stile e l’importanza assoluta. Resta la voce accorata, ferma ed intensa di Papa Francesco a ricordare al mondo il valore immenso, insostituibile, della pace.
Inquieto è un aggettivo, per altro non nuovo, da attribuire al mondo attuale: mentre si osserva scarsa attenzione ai fini dell’impegno per la pace, ovvero azioni che vedano o indichino accordi – fatta salva la speranza affidata al programmato incontro fra il presidente Usa e il dittatore nordcoreano – permane invece una presenza eccessiva per quanto riguarda la litigiosità internazionale. Siria, Afghanistan, Israele, Gaza, sono teatri di guerre, di terrorismo, di attentati tanto che per questi Paesi si stenta a trovare una via di uscita pacificante. Si mettono in discussione trattati firmati da breve tempo (quello Usa-Iran sul controllo dell’armamento atomico di Teheran), si intensificano i bombardamenti su popolazioni civili nella martoriatissima Siria, si affronta militarmente l’Isis e gli si infliggono pesanti sconfitte sul campo ma purtroppo l’orrore del Califfato continua a perpetuarsi tra stragi e minacce sanguinarie, palestinesi tentano di penetrare in territorio israeliano ma incrociano la dura risposta di Tel Aviv, insomma non cessa l’avversione alla pace, anche se, a parole, la si invoca.
Eppure i popoli interessati la cercano con determinazione: siriani, afgani, israeliani e palestinesi non vogliono né guerre né stati di allerta, desiderano vivere serenamente i propri giorni, ma accade sempre qualcosa che lacera i rapporti e fa ripiombare nel peggio.
L’uomo sembra incapace di vivere la pace, non solo di volerla e perseguirla: così escogita ogni giorno qualche nuova trappola, ulteriori reazioni a gesti esecrabili, così che le tensioni, accumulandosi, sfociano o in atti di guerra o in scontri furiosi che comportano vittime innocenti. Giacché a morire sono troppo spesso dei cittadini inermi, come le vittime dei ripetuti e tragici attentati kamikaze (Isis e talebani) nell’Afghanistan, a danno di gente impegnata a fare acquisti al mercato o a trascorrere momenti di relax, gente in cerca di tranquillità ma uccisa dal furore di chi non conosce il senso e il valore del rispetto e del dialogo fra uomini.
E poi le guerre delle spie – un Paese ne espelle venti, l’altro ne scaccia altrettanti, il primo accusa gli avversari di comportamenti inaccettabili, il secondo rispedisce gli addebiti al mittente – ed anche la guerra dei dazi, ultima tentazione internazionale. Nel ginepraio che ne consegue, il ripristino dei dazi è un altro colpo indiretto alla pace, pur se è provvedimento prodotto in nome di una ‘difesa’ della propria produzione. Il tutto è condotto senza tener conto della necessità che il commercio mondiale richiede regole, non certo imposizioni che ricadono sulla produttività di ogni Stato (probabilmente anche di quello che si fa arbitro dei dazi), suscitando altri gravosi problemi sociali.
Ecco perché la pace continua ad allontanarsi; la sua eccentricità spinge i poteri a sostenerne verbalmente il bisogno, ma non ad accompagnarla con provvedimenti idonei a promuoverne lo stile e l’importanza assoluta.
Resta la voce accorata, ferma ed intensa di Papa Francesco a ricordare al mondo il valore immenso, insostituibile, della pace. Tuttavia le Nazioni, che pure se ne dicono sostenitrici, all’atto pratico – vuoi per ragion di Stato vuoi per volontà di potenza vuoi per proprio tornaconto, magari con raffinati discorsi autogiustificativi – se ne discostano, lasciando spazio alle armi e a tante catastrofi disumane.
(*) direttore “Il Popolo” (Treviglio)