“Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”
L’avere è strumento, se diventa fine svuota la dimensione interiore, la ricchezza dell’essere. C’è un errore antropologico alla base della crisi da cui stiamo forse uscendo, per questo si propone una riscossa dell’umano. Nell’intero sistema economico urge re-immettere la qualità umana dell’amore sociale, civile e politico, per impedire che il più forte sfrutti e opprima il più debole.
È stato reso pubblico il 17 maggio scorso un documento breve e coraggioso, che si inoltra in questioni anche tecniche. Il titolo è “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”, opera di ben due organismi della curia vaticana: la Congregazione per la dottrina della fede e il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Stupisce che siano due organismi diversi per finalità. Il primo si occupa dei contenuti della fede, mentre il secondo è più di tipo etico. Evidentemente in discussione sono anche problemi teologici.
Infatti, un primo elemento è la denuncia della miopia antropologica, che emerge per l’esagerazione del valore riconosciuto all’economia rispetto alla dimensione integrale dell’uomo. Le persone vengono ridotte a consumatori che devono muovere il mercato, a ingranaggi del sistema economico. L’uomo ridotto a consumatore riduce il concetto di bene a mero bene economico e il mercato a scambio fra beni materiali, non più luogo di relazioni umane. Scompaiono beni immateriali come fiducia, cooperazione, solidarietà, giustizia. Senza queste caratteristiche, il mercato dimostra di non potersi regolare da solo. Il desiderio di possesso ha portato a una sopravvalutazione del profitto, tanto da vampirizzare l’economia reale da parte della speculazione finanziaria. Si sono così provocate crisi di interi Paesi e continenti, come quella attuale.
La Caritas in veritate, al n. 35 dice: “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri”. Il primato di beni materiali nasce dall’idea che siamo liberi in quanto padroni e possessori di noi stessi e delle nostre cose. La deviazione antropologica incentra la vita sull’avere, sul possesso, con impostazione egoistica e inclinazione all’avidità. L’avere è strumento, se diventa fine svuota la dimensione interiore, la ricchezza dell’essere. C’è dunque un errore antropologico alla base della crisi da cui stiamo forse uscendo, per questo si propone una riscossa dell’umano. Nell’intero sistema economico urge re-immettere la qualità umana dell’amore sociale, civile e politico, per impedire che il più forte sfrutti e opprima il più debole. Alla base sta sempre la libera scelta delle persone, che con i loro consumi e l’allocazione dei risparmi possono modificare il mercato. Anche la politica deve fare la sua parte, con misure fiscali che frenino le speculazioni e regolino il mercato finanziario.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)