Peregrinatio
Termineranno domani, con la Messa del card. Parolin, i 18 giorni della “peregrinatio” dei resti mortali di San Giovanni XXIII nei suoi luoghi d’origine. Abbiamo chiesto al vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, un bilancio dell’iniziativa, che ha visto la partecipazione di circa 200mila persone. Il 10 giugno il rientro in Vaticano.
(da Sotto il Monte) Quando si tratta di Papa Giovanni ognuno ha un ricordo personale, un aneddoto da raccontare. “La gente ha bisogno di narrazioni”, dice il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, per descrivere una delle scene più frequenti che hanno caratterizzato i giorni della “peregrinatio” delle spoglie mortali di Angelo Maria Roncalli dal Vaticano ai suoi luoghi di origine, a 60 anni dall’elezione al soglio pontificio e a quattro dalla canonizzazione, per volere di Papa Francesco. L’immagine è quella dei nonni che raccontano ai nipoti di una presenza che hanno sentito, a loro volta, familiare, o delle coppie che rivelano ai propri figli che sono nati grazie all’intercessione del Papa diventato per la devozione popolare protettore dei bambini, dopo il suo celeberrimo Discorso alla luna, con la richiesta ai genitori di carezze per i più piccoli, una volta tornati a casa. Termineranno domani, a Sotto il Monte, con la Messa presieduta dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, i 18 giorni che hanno visto venerare l’urna di san Giovanni XXIII, prima a Bergamo e poi nel suo paese natale, da circa 200mila persone. Domenica il rientro in Vaticano. Abbiamo chiesto al vescovo un bilancio dell’iniziativa.
Eccellenza, se l’aspettava una partecipazione così numerosa?
Devo dire che i numeri sono davvero impressionanti: hanno superato tutte le aspettative e le previsioni della vigilia. Il bilancio della peregrinatio è rilevante soprattutto dal punto di vista spirituale, perché abbiamo raccolto una grande testimonianza.
La nostra gente ha sempre avuto, e continua ad avere, con Papa Giovanni un rapporto profondo, ma non superficiale.
La familiarità con “il Papa buono” deriva dalla consapevolezza di aver ricevuto tra di noi un dono che è da tutti ritenuto un patrimonio prezioso: la sua fede, la sua famiglia, i valori contadini, la sua attività spirituale hanno lasciato un segno indelebile nella vita e nei ricordi di tutti. È qui, in questi luoghi, che si ritrovano le ragioni profonde che hanno ispirato la testimonianza di Angelo Maria Roncalli.
Cosa spinge questa folla incessante di pellegrini a compiere un pellegrinaggio così particolare?
Quando le persone vengono qui a venerarne le spoglie mortali, lo fanno per rendere omaggio ad un Papa che è stato capace di parlare all’umanità.
Noi tutti lo chiamiamo “il Papa buono”: credo che le ragioni profonde della sua bontà vadano anzitutto ricercate nella capacità di interloquire con la persona nella sua singolarità, con la Chiesa e con ogni uomo e donna di buona volontà.
In Papa Giovanni la bontà si rivelava, anzitutto, nella dote di far emergere il bene in ogni persona.
Con l’indizione del Concilio, il Papa ha fatto presente al mondo la necessità di riformare la Chiesa, nella fedeltà a Gesù e al Vangelo ma anche nella consapevolezza dei tempi che cambiano. A tutta l’umanità, infine, Roncalli ha lanciato un grande messaggio di dialogo e di pace.
Papa Giovanni ha espresso più volte e in molti modi, in tutte le stagioni della sua vita, il proprio attaccamento alla sua terra. Qual è l’eredità bergamasca che ne ha più plasmato i tratti?
Per Papa Giovanni, il rapporto con Bergamo rappresenta il suo momento più sublime. Aveva un legame impressionante con la sua terra e la sua Chiesa, e il suo esempio è stato “pro-vocante” per tutta la comunità. In lui, infatti, convivevano tradizione e apertura, cambiamento, riforma e attaccamento al proprio territorio.
Papa Giovanni era fortemente legato a Bergamo e a Sotto il Monte, ma nello stesso tempo è stato un uomo che non soltanto con il Concilio, ma in tutta la sua vita ha continuamente aperto porte nuove, a volte anche sconvolgenti per la storia di allora.
Ha aperto le porte dei cuori, ha aperto porte di liberazione, di dialogo e di pace che gli sono state riconosciute, ad esempio, anche dal mondo ebraico, per le migliaia di ebrei che aveva salvato quando era delegato apostolico in Turchia. L’ecumenismo, grazie a lui, ha percorso itinerari inediti. Il radicamento nella tradizione e la sorprendente apertura sono un tratto molto caratteristico della Chiesa bergamasca – basti pensare alla presenza missionaria – così come il senso della concretezza, della laboriosità, della profonda lealtà nei confronti di tutti, di chi crede e di chi non crede. Tutti tratti, questi, che ritroviamo in pieno nella figura di Roncalli.
Nel segno di Papa Giovanni, la vostra è una terra accogliente….
La nostra diocesi è una delle terre più accoglienti verso i migranti, anche se l’impressione a volte può essere un po’ diversa. In termini di accoglienza degli immigrati siamo, infatti, al quarto posto in Italia, ma anche l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo è molto consistente. Sono mille, oggi, i richiedenti asilo ospitati in strutture diocesane, dove l’accoglienza è declinata non solo in termini materiali, ma anche come accoglienza umana, cultura, spirituale.
Al termine della “peregrinatio”, cosa si augura che lasci in eredità alla sua diocesi?
Mi auguro che l’accoglienza, che c’è ma che a volte può sembrare invisibile, sotto il segno di Papa Giovanni aumenti ancora di più, come è stato anche negli ultimi anni. Possiamo contare sull’appoggio molto forte di Papa Francesco nel percorrere questa strada, e Papa Giovanni ci ha testimoniato una Chiesa che esce per andare incontro al mondo. Non dimentichiamo che la Pacem in Terris è stata la prima Enciclica di un Papa indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà. L’auspicio è che la nostra diocesi, che a volte fa fatica e tende a chiudersi, cerchi di mettersi sempre più in relazione col mondo per portare avanti la sua opera di evangelizzazione.