Magistero
Nel suo ultimo libro, “Reciprocità”, il teologo Massimo Naro indaga su una parola quasi invisibile ma fondamentale per capire il suo magistero pastorale
Una parola che non appare quasi mai, eppure tanto di sostanza da apparire addirittura come architrave del suo stesso magistero. È la “reciprocità”, che Papa Francesco declina in tutte le sue sfumature, esistenziali e concrete, mai astratte. L’immagine-simbolo è quella dell’abbraccio, che nell’Evangelii gaudium traduce la “mistica del vivere insieme” e nella Laudato si’ sintetizza l’ecologia integrale: “Una tensione che lentamente cessa di essere tensione per diventare incontro”, in cui “si confonde chi aiuta e chi è aiutato. Chi è il protagonista? Tutti e due, o, per meglio dire, l’abbraccio”.
Il termine “reciprocità” non compare mai – negli scritti di Francesco e nelle trascrizioni dei suoi discorsi – all’interno di un qualche elenco di parole spiegate dallo stesso Pontefice, com’è invece nel caso di termini quale dialogo, integrazione, discernimento, periferie, frontiere, scarto, popolo, misericordia, tentazioni, virtù. Massimo Naro – nel suo ultimo libro, “Reciprocità”, in uscita per i tipi delle Edizioni San Paolo – indaga quella che teologicamente, ma soprattutto pastoralmente, per Bergoglio costituisce una vera e propria galassia.
“Reciprocità”, scrigno-contenitore di parole antiche e sempre nuove, che hanno il profumo del Vangelo e di un magistero sempre “in progress”, come è stato definito quello del primo Papa venuto dalla fine del mondo, che comunica con le parole ma anche con i gesti, gli sguardi, la postura, che infarcisce i “grandi” e “piccoli” discorsi di interventi a braccio, che regala alla folla di fedeli accorsi ad ascoltarlo da ogni parte del mondo catechesi e omelie, in piazza San Pietro o a Santa Marta, dal timbro squisitamente relazionale.
“La verità sta nella relazione”,
è infatti uno dei pilastri del pontificato del Papa argentino, dove il timbro colloquiale non è mai semplificazione riduttiva ma lezione di coerenza tra fede e vita, a partire dalla testimonianza personale. Il tema della reciprocità, in questo contesto, si caratterizza allora come “sintassi del dialogo”: per i suoi interlocutori, a partire dalla Curia Romana, Papa Francesco, secondo il teologo, compone dei “piccoli vocabolari in cui elenca le parole che gli preme di volta in volta enfatizzare”. Come le tre parole-chiave della reciprocità in famiglia: “Permesso, grazie, scusa”. Il lessico della reciprocità, più che nel sostantivo, nel pontificato di Francesco si rintraccia in molti aggettivi, evidenti in espressioni come “fiducia reciproca”, “stima reciproca”, “reciproca conoscenza e comprensione”, “reciproca accoglienza”, utilizzate soprattutto per i rapporti tra credenti delle diverse religioni o esponenti delle diverse Chiese e delle varie comunità cristiane. Sul versante opposto, ci sono i tradimenti della reciprocità, messa in crisi dall’egoismo e dall’autoreferenzialità, da un’errata declinazione che dà luogo alla “cultura dello scontro”. Frequente, in Francesco, è anche la perifrasi da cui la parola reciprocità viene talvolta sostituita: “L’uno per l’altro”’, o anche “gli uni per gli altri”. In questi casi, si tratta di relazionalità buona, di “circolarità virtuosa” che è sinonimo di amore, di comunione, di condivisione, di fratellanza. Come quella instaurata, da subito, nel comune “cammino” vescovo-popolo che Bergoglio ha annunciato di voler percorrere, nel suo primo affaccio dalla Loggia delle Benedizioni la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013. Reciprocità, infine, è solidarietà, prossimità, vicinanza, incontro, dialogo, oltre che cifra del rapporto tra uomo e donna. È la grammatica dell’esistenza umana, la regola aurea della vita in relazione con gli altri. Le sue metafore, conclude Naro, sono il cammino e l’abbraccio.