Aquarius e crisi europea

La nave della speranza

La crisi dell’Unione europea non è tecnica, è culturale. La vicenda della nave Aquarius, da sola, fa emergere tutti i limiti di una Unione realizzata troppo lentamente, tanto da erodere nel tempo gli aspetti ideali ed etici di giustizia, solidarietà e pace che ne avevano determinato la nascita.

La nota vicenda della nave Aquarius, con le mosse del nostro ministro degli Interni, mette in crisi l’unità dell’Europa. Qualcosa deve ovviamente cambiare.
Da una parte, stupisce il cinismo con cui si è giocata una partita a scacchi sulla vita delle persone, dall’altra la notevole faccia tosta di Paesi che avevano sempre ostacolato l’ingresso dei migranti e, ora, accusano il nostro governo. Pensiamo a quanto è accaduto e ancora accade tra Ventimiglia e il confine francese. La crisi dell’Unione europea non è tecnica, è culturale. L’Europa nasce per volontà di pace fra Stati ex belligeranti, e lo fa dopo la dichiarazione dell’Onu sui diritti umani nel 1948. Oggi, però, non ci si confronta più con quei principi che
ne hanno determinato l’origine. Siamo alla fine della ragione sociale dell’Europa Unita?
Se continua così, si va velocemente alla disgregazione dell’Ue, in modo clamoroso. Il problema non è l’adesione all’euro, ma l’aver fatto ormai della moneta e di ciò che le monete rappresentano l’unica ragione dell’Unione. Manca l’afflato ideale che ha portato, per esempio, il popolo italiano – o forse almeno una parte di esso – a superare i vari Stati dell’Italia pre-unità; Stati messi in crisi dai moti che hanno destrutturato dall’interno molte delle realtà politiche precedenti. L’Ue, che nasce con trattati troppo attenti ai sospetti, ai pregiudizi e alle diffidenze, ora dimostra tutto il suo limite. Non è la solidarietà a unire, ma alcuni aspetti mercantili per sé fragili. Così la vicenda della nave Aquarius, da sola, fa emergere tutti i limiti di una Unione realizzata troppo lentamente, tanto da erodere nel tempo gli aspetti ideali ed etici di giustizia, solidarietà e pace che ne avevano determinato la nascita. La crisi che s’intravvede è “interna”, è mancanza di elaborazione di ciò che ci ha uniti; è l’eccessiva sottolineatura degli aspetti meno nobili su cui i trattati hanno a lungo indugiato. Se pensiamo ai sospetti che i Paesi più ricchi hanno su quelli più poveri, sulle piccole furbizie per far pagare i debiti propri ad altri – sospetti che hanno forse anche fondamenti concreti, senza attenzione ai problemi reali che si devono affrontare – comprendiamo come sia difficile parlare di solidarietà. La Germania, nella sua rigidità contabile, ai tempi dell’inizio della crisi greca ha dimenticato, per esempio, che la stessa Grecia le aveva condonato il debito per danni di guerra. Così, quella crisi è costata all’Europa molto di più per egoismo nazionale di quanto sarebbe costata la solidarietà all’intera Ue.

(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)