Società
Il nostro tessuto sociale appare oggi profondamente lacerato. Crescono le situazioni di solitudine e con esse la sensazione da parte di molte persone che siano saltati i riferimenti che, in qualche misura, potevano rappresentarci e tutelarci
La nostra è una società caratterizzata da un tasso di violenza crescente. Non c’entra nulla la criminalità organizzata o la delinquenza comune. Anzi a tale riguardo i numeri sui reati risultano in calo. Si tratta della violenza all’interno di quelli che dovrebbero essere rapporti normali, relazioni sociali ordinarie. È un segnale non certo nuovo, ma che assume in questi ultimi tempi una accentuazione particolare e preoccupante. Dagli episodi di violenza a scuola (ultimi, in termini di tempo, le aggressioni ai danni di qualche insegnante da parte di qualche genitore non soddisfatto dell’esito degli scrutini del proprio figlio), a quelli nei confronti di medici (anche questo un fenomeno in crescita), senza dimenticare gli episodi di violenza contro le donne o di bullismo tra giovani coetanei e contro i migranti.
Sembra di assistere a una sorta di regressione. Quello che era un certo codice di comportamento che aveva nel rispetto dell’altro a prescindere e nel riconoscimento dell’autorità due punti di riferimento fondamentali, sembra messo in discussione nei fatti. Molteplici i fattori alla base di tale deriva: dalla prolungata e profonda crisi economica all’aumentare delle diseguaglianze, da una complessità crescente che crea disorientamento a uno stato di arrabbiatura permanente che permea ampi strati della società. Sta di fatto che il nostro tessuto sociale, appare oggi profondamente lacerato. Crescono le situazioni di solitudine e con esse la sensazione da parte di molte persone che siano saltati i riferimenti che, in qualche misura, potevano rappresentarci e tutelarci. Una volta in un Paese l’autorità era rappresentata oltre che dal parroco, dal medico e dal maestro. È emblematico che oggi queste figure siano vittime di aggressione. Di fronte a un tale quadro l’azione di controllo e repressione non è sufficiente. Occorre riscoprire il senso (e il gusto) di essere comunità, l’importanza fondamentale delle relazioni personali.
In tal senso accanto al nuovo e sempre più potente e invasivo mondo delle relazioni virtuali, vanno rilanciate quelle concrete, materiali, vis à vis. Non in alternativa, ma nella consapevolezza che occorre recuperare la comunità che vive la relazione ordinaria, fatta di cose concrete, progetti condivisi, portati avanti insieme, fianco a fianco. C’è qui uno spazio enorme per le nostre comunità ecclesiali che, pur nelle difficoltà, esprimono in questo una capacità di promuovere esperienze costruttive che non hanno pari. Ripartiamo da qui, dicendoci vicendevolmente: “Diamoci una calmata”, ma anche facendo in modo che le nostre stesse comunità parrocchiali e ora di Unità pastorale siano protagoniste di un’azione capace di prevenire la violenza e ritessere un futuro positivo.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)