Consiglio Europeo
l’Europa delle attuali divisioni, l’Unione in cui ciascun membro ha una sua linea e la difende, vive giorni decisivi per il futuro: di ricompattamento, se si troverà una quadra e una squadra, o di ulteriore frattura. Sul tavolo ci sono temi importanti: bilancio, sicurezza e difesa, occupazione e competitività, Brexit. Ma uno li sovrasta: la questione migranti. Su questo l’Europa o si incolla o allarga la crepa
Come Garibaldi a Calatafimi, così i 27 Paesi dell’Unione Europa il 28 e 29 giugno. Di fronte al disastro del 15 maggio 1860 contro i Borbonici, a Bixio che invitava alla ritirata, l’eroe rispose: “Qui si fa l’Italia o si muore”. A dire che il pericolo era grande, ma il sogno di unità lo era di più: irrinunciabile.
Allo stesso modo, l’Europa delle attuali divisioni, l’Unione in cui ciascun membro ha una sua linea e la difende, vive giorni decisivi per il futuro: di ricompattamento, se si troverà una quadra e una squadra, o di ulteriore frattura.
Sul tavolo ci sono temi importanti: bilancio, sicurezza e difesa, occupazione e competitività, Brexit. Ma uno li sovrasta: la questione migranti. Su questo l’Europa o si incolla o allarga la crepa. O si fa, o si disfa. Dipende da quanto è ancora forte quel sogno comune.
Gli scricchiolii ci sono stati, conditi da parole aspre, che hanno sorvolato le frontiere in vari sensi di marcia. Tanto è vero che il Consiglio dei 27 è stato preceduto, la scorsa settimana, da tanti pre incontri tra Conte, Macron, Merkel, Sànchez.
Ma è altrettanto vero che, mentre le foto mostravano amichevoli strette di mano tra i due rappresentanti di Governo italiano e francese, i commenti dei ministri italiani – a cui Macron non ha lesinato risposte ton sur ton – andavano in tutt’altra direzione: a ricordare numeri e inadempienze e a ribadire, una volta di più, che la musica è cambiata.
I nodi che il Consiglio europeo deve sciogliere riguardano gli sbarchi, l’accoglienza, i paesi di competenza e la ripartizione in senso più ampio. Concetto al quale si dimostrano ostili i Paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Cechia, Ungheria, Slovacchia) che hanno disertato il prevertice di domenica 24 giugno convocato dal presidente della Commissione europea Juncker.
Tra le richieste che l’Italia ha messo e metterà sul tavolo ci sono gli hot spot da allestire nei Paesi di partenza – ai quali si sa che la Francia è contraria e la Libia pure – e soprattutto il principio che chi sbarca sulle coste non africane del Mediterraneo – Italia, Malta o Spagna che sia – sbarca non in un singolo Paese ma in Europa e tocca quindi all’Europa tutta farsene carico. Come e in che misura è da decidere.
E qui sta il busillis. In Germania, il ministro dell’interno Seehofer ha dato l’ultimatum alla Merkel: o si fa l’accordo o iniziano le espulsioni. In Italia, le espulsioni sono state più volte invocate dal ministro dell’Interno Salvini. E i Paesi del blocco non sono propensi alla condivisione degli impegni.
La Merkel prova a tessere le fila di questa matassa i cui capi stentano a convergere in un unico ragionato e mediato gomitolo.
Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, è stato schietto: “L’Europa è a un bivio. O prende il toro per le corna e affronta una volta per tutte il problema della immigrazione con una strategia a breve, medio e lungo termine o rischia di essere travolta e cadere in una crisi profonda per incapacità di svolgere un ruolo politico” (Il Gazzettino, 25 giugno).
Parole di speranza ha avuto Wolfang Schauble, uomo di punta della politica tedesca, già presidente della Bundestag, che riconoscendo cruciale il momento ha dichiarato: “L’Europa avanza solo nelle crisi” (Il Corriere della Sera, 23 giugno). La pressione c’è, aspettiamo il moto. Da centrifugo a centripeto.
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)