Migranti

Non c’è ancora posto per loro

L’Europa si chiude ai migranti. A chi arriva armato di povertà e bisogni, doni che nessuno vuole. La povertà è un’arma terribile, da respingere prima che deflagri, che contagi, che venga ad impoverire Paesi già alle prese con i propri problemi. Neppure l’interesse concreto smuove le posizioni. Per paura, per ideologia, per poca umanità: il risultato non cambia

Ci sono muri di cemento e altri di parole. “Porti chiusi” è un muro italiano. Ma anche maltese. “No accoglienza” è un muro che i Paesi dell’Europa Orientale del blocco di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) hanno alzato da tempo, qualcuno con tanto di filo spinato.
Poi ci sono i muri degli accordi. L’Europa ne ha stilato uno nuovo sulla questione migranti. Ha rischiato fratture ma non si è rotta: ha trovato la convergenza sul fronte comune del “vade retro”. Estenuante la trattativa per raggiungere un patto che scricchiola quanto i barconi che, nel frattempo, affondano nel Mediterraneo.
L’Italia si dice soddisfatta per aver fatto sentire che i migranti sono una questione che riguarda l’Europa intera. Ma, se l’accoglienza resta volontaria e chi arriva viene accolto nel porto più vicino, dov’è la conquista? Per il blocco dei porti e il non ascolto degli appelli delle Ong si era già provveduto in casa.
Visegrad gongola: continuerà a non accogliere nessuno.
Anche la Libia è accontentata: niente hot spot nel suo territorio. Centri sorgeranno ai suoi confini, finanziati con 500 milioni di euro dall’Europa stessa. Pochi rispetto ai 6 miliardi di euro che incassa la Turchia (tre in precedenza, tre adesso) per bloccare la rotta balcanica e tenersi in casa il problema, chiuso in appositi campi.
In Germania non è mancato il trambusto. La Merkel, al sicuro della quadra trovata e della confermata non distribuzione forzata di migranti nei Paesi dell’Unione, è stata scossa dalle minacciate dimissioni dell’alleato, che preme sul pedale dei respingimenti. Ma l’allarme pare rientrato.
Sulla raggiunta quiete aleggia un interrogativo: l’accordo trovato delinea molto bene i no, ma lascia nel vago quel che si farà e a chi toccherà farlo.
Non sono mancate le voci contrarie: l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini ha commentato: “Un’Europa egoista e un’Italia sola. Per l’Italia è dura”. Non convinto pure l’ex ministro degli Interni Marco Minniti, la cui linea ha ridotto gli arrivi dell’84%: “Abbiamo incassato solo dei pagherò difficili da riscuotere. Non funzionava l’obbligatorietà figurarsi la base volontaria” (entrambi dall’Avvenire del 30 giugno).
Facile obiettare: voci di chi la pensa politicamente in altro modo. Ed è vero. Ma le vite umane dovrebbero contare più delle tessere di partito. E anche se è la politica a decidere il da farsi, l’umanità dovrebbe costituire il punto su cui convergere.
Fuori dal coro le parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che visitando Pozzallo ha dichiarato: “Io i porti non li chiuderei… L’Italia non può tirarsi indietro ed è qui che vanno aiutate le persone”. Un assolo poco gradito.
Oltre le idee un fatto è certo: l’Europa si chiude ai migranti. A chi arriva armato di povertà e bisogni, doni che nessuno vuole. La povertà è un’arma terribile, da respingere prima che deflagri, che contagi, che venga ad impoverire Paesi già alle prese con i propri problemi.
Uno, proprio in questi giorni, lo ha ricordato il presidente dell’Inps Tito Boeri: dato che fra vent’anni l’Italia avrà più pensionati che lavoratori, al nostro – demograficamente parlando – vecchio Paese servono nuove forze lavoro. Ma neppure l’interesse concreto smuove le posizioni. Per paura, per ideologia, per poca umanità: il risultato non cambia. Neppure oggi c’è posto per loro.

(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)