Società
Ha fatto scalpore ciò che è accaduto a Forlì nei giorni scorsi: qualcuno ha sparato contro immigrati maschi e femmine. L’arma ad aria compressa manifesta una volontà certamente non omicida, ma comunque violenta e discriminatoria. Non possiamo solo pensare che sia stato un idiota a compiere questi gesti. I più fragili sul piano psicologico si fanno trascinare a questi eccessi, coperti da una subcultura della banalità. Il linguaggio, messo in atto per far lievitare i voti, esprime spesso una vera rabbia. Non possiamo ignorare questi fenomeni; dobbiamo invece cogliere i segnali prima che diventino forti e ingovernabili.
Ha fatto scalpore ciò che è accaduto a Forlì nei giorni scorsi: qualcuno ha sparato contro immigrati maschi e femmine.
L’arma ad aria compressa manifesta una volontà certamente non omicida, ma comunque violenta e discriminatoria. L’autore, o gli autori, avranno pensato la cosa come uno scherzo, un brutto scherzo che manifesta razzismo e crudeltà. Amministratori, politici, sindacati e associazioni hanno accomunato questi gesti alle violenze che, in tutta Italia, stanno avvenendo come espressione di razzismo. Dobbiamo farci delle domande su quale brodo di coltura permetta la crescita di questi gesti. Cosa ha portato ad un degrado culturale e sociale così presente nella nostra città. Chi lo ha fatto è disturbato, è un debole confuso da parole insensate che a volte qualche politico usa a sproposito, parole che rendono possibili certi fatti.
Non possiamo solo pensare che sia stato un idiota a compiere questi gesti. I più fragili sul piano psicologico si fanno trascinare a questi eccessi, coperti da una subcultura della banalità. Il linguaggio, messo in atto per far lievitare i voti, esprime spesso una vera rabbia. Non possiamo ignorare questi fenomeni; dobbiamo invece cogliere i segnali prima che diventino forti e ingovernabili. Va evitata, nelle politiche per affrontare il fenomeno dell’immigrazione, una guerra fra poveri. Dire “prima gli italiani” accende lo scontro. Ai “cattivisti” che chiedono la precedenza per gli italiani poveri basta far visita ai centri Caritas per accorgersi che già avviene: una buona metà di chi vi ricorre è di italiani. Se non se ne sono accorti è solo per la loro miopia. È giusto reclamare buona amministrazione, tutela dei lavoratori, dignità della scuola, in definitiva, il bene comune. Tutto questo si basa sulla comune dignità umana. Noi “buonisti” proclamiamo i diritti umani, inalienabili e universali, che non prevedono gerarchie e sono alla base della costruzione dell’Unità Europea. Giustamente le associazioni della società, quelle cristiane, i sindacati e altre, fanno sentire la loro voce.
Le parole “solidarietà, accoglienza, giustizia” devono recuperare una dimensione concreta, altrimenti l’intera società si disgrega. Si disgregano le nostre città, il nostro Paese e l’Europa, come infatti sta accadendo. Diventiamo una somma di individui, di egoismi isolati. In una società disgregata prevalgono scelte corporative di gruppi che riescono a coagulare persone attorno a interessi parziali, lontani dal bene comune; di qui la possibile origine di società violente.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)