Società
Forlì come tutta la Romagna, vanta una cultura di ospitalità e di apertura che fonda su una volontà di relazioni, sull’entusiasmo della capacità di vivere in armonia, sulla franchezza e la prontezza nel dialogo, ma anche sulla facilità della crescita dei toni nel dibattito. Chi non è di qui percepisce una costante minaccia di vera lite, se non di tragedia, a cui per fortuna difficilmente si arriva.
Nella presentazione della Settimana del Buon Vivere 2018, intitolata “Un’idea di futuro”, c’è una citazione di Amartya Sen, Nobel per l’Economia nel 1998: “La principale speranza di armonia del nostro complesso mondo risiede nella pluralità delle nostre identità che si intrecciano”. Più avanti leggiamo: “Bene Comune, economia etica, equità, benessere, salute, coesione, solidarietà sono i pilastri del Buon Vivere”. Se queste sono le premesse, c’è solo da essere orgogliosi di tali iniziative. L’aspetto prevalente è di tipo culturale, capace di far crescere la coscienza di cittadini a tutto tondo. Altro che abbandono della democrazia. Qui il popolo cresce e ne fonda i valori in una scelta di vita che prevede capacità di accoglienza, di solidarietà, di buona economia etica sostenibile e di dialogo tra culture.
Come ogni città e ogni regione, anche qui ci sono mille contraddizioni, così l’intreccio non sempre è dialogo e accoglienza. Gli spari di piombini contro immigrati o le scritte sui muri della Cattedrale o di immobili in cui risiedono organizzazioni cattoliche testimoniano l’assenza, almeno da parte di qualcuno, di capacità relazionale con chi la pensa diversamente. La fiducia nella crescita costante sul piano culturale della “Settimana” è l’antidoto ai veleni che a volte, anche sul piano politico, si spargono nel territorio. Lo scorso anno si citava Italo Calvino: “Di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Cosa domandiamo a Forlì? Quali sono le risposte? La nostra città, come tutta la Romagna, vanta una cultura di ospitalità e di apertura che fonda su una volontà di relazioni, sull’entusiasmo della capacità di vivere in armonia, sulla franchezza e la prontezza nel dialogo, ma anche sulla facilità della crescita dei toni nel dibattito. Chi non è di qui percepisce una costante minaccia di vera lite, se non di tragedia, a cui per fortuna difficilmente si arriva.
Essere fedeli a questi (presunti?) caratteri romagnoli esige l’essere capaci di accogliere e saper far nascere, dall’intreccio di identità, nuove capacità culturali, nuove capacità di pensiero e di ricerca del bene in sé, base del bene comune.
Miglior indice non sarà solo la crescita economica dell’indotto dei ristoranti e delle strutture ricettive forlivesi: sarà un nuovo rispetto della dignità di ogni persona, un’amicizia tra popolazioni ed etnie; una ricerca, in definitiva, del senso della vita di ciascuno, anche in questa fase storica in cui la globalizzazione ci pone a contatto con culture ed etnie diverse.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)