Dibattito
Il bilancio economico e umano dell’innovazione introdotta dal decreto Monti nel 2011 è inconfutabile: guadagni ridotti, delle imprese e dei lavoratori, e conseguenze negative sull’occupazione. E allora – senza passare da antistorici – dobbiamo poter ammettere che se una liberalizzazione selvaggia si è rivelata nociva è giunto il tempo per impostare l’equilibrio tra diritti dei lavoratori ed esigenze delle imprese lasciandosi guidare da una logica di umanità e di valori relazionali.
Ci si spacca anche sulla domenica libera in questo Paese in cui la campagna elettorale non trova giorni di riposo. Un partito contro l’altro, sindacati e industriali, esercenti piccoli e grandi.
Dopo la promessa del vicepremier Di Maio di “sforbiciare” entro il 2019 le troppe aperture domenicali c’è già chi accusa la Chiesa di accordi anti Lega con i grillini. Senza tener conto che tante voci – dal vescovo Bregantini al parroco dei paesi turistici – si sono levate in anni non sospetti per difendere un “tempo liberato per tutti” e arginare una liberalizzazione spinta verso la disumanità: serrande aperte 365 giorni l’anno.
Stupisce che anche osservatori imparziali ritengano questa fermezza a favore delle domeniche libere dal lavoro e dai consumi come una nostalgica crociata di chi pensa di “poter svuotare il mare della storia con un secchiello”. Al contrario, un comodo conservatorismo sta proprio in chi ritiene che ormai la società dei consumi possa e debba occupare ogni spazio, in barba ai sacrosanti diritti dei lavoratori. Quindi chiedere di tornare indietro rispetto alla liberalizzazione selvaggia è una forma coraggiosa di resilienza, un annuncio controcorrente. Ad affermare con una legge o con qualche decreto regionale o comunale più restrittivo che i nostri rapporti umani e familiari vengono ossigenati da un giorno “diverso dagli altri” – preservato dalla logica del profitto e del rendimento – consacrato ad un ritmo più lento e più profondo.
A nessuno sfugge che si rischiano così di “sacrificare” alcuni lavoratori, per i quali l’importante non è quando lavorare, ma è almeno lavorare. Il bilancio economico e umano dell’innovazione introdotta dal decreto Monti nel 2011 è inconfutabile: guadagni ridotti, delle imprese e dei lavoratori, e conseguenze negative sull’occupazione.
E allora – senza passare da antistorici – dobbiamo poter ammettere che se una liberalizzazione selvaggia si è rivelata nociva è giunto il tempo per impostare l’equilibrio tra diritti dei lavoratori ed esigenze delle imprese lasciandosi guidare da una logica di umanità e di valori relazionali. Dà speranza che qualche catena della grande distribuzione abbia invertito e la tendenza, rivedendo in modo molto più restrittivo le proprie aperture domenicali.
Papa Francesco, anticipando i governanti italiani, aveva dedicato la sua udienza del 5 settembre al valore del riposo settimanale contro la schiavitù della frenesia. “ La domenica – ha detto fra l’altro – non è il giorno per cancellare gli altri giorni ma per ricordarli, benedirli e fare pace con la vita. Quanta gente che ha tanta possibilità di divertirsi, e non vive in pace con la vita! La domenica è la giornata per fare pace con la vita, dicendo: la vita è preziosa; non è facile, a volte è dolorosa, ma è preziosa”.
Di qui l’invito a prendersi il tempo per “riconciliarsi con la propria storia, con i fatti che non si accettano, con le parti difficili della propria esistenza”; la vera pace, infatti, non è cambiare la propria storia ma accoglierla, valorizzarla, così com’è andata”. Un rilievo fondato sulle esperienze vissute da Bergoglio: “Quante volte abbiamo incontrato cristiani malati che ci hanno consolato con una serenità che non si trova nei gaudenti e negli edonisti! E abbiamo visto persone umili e povere gioire di piccole grazie con una felicità che sapeva di eternità”.
Logico: il richiamo va ben oltre la domenica, ma un giorno liberato ci aiuta a fare pace e a svincolarci dai legacci invisibili della schiavitù consumista.
(*) direttore “Vita Trentina” (Trento)