Società di San Vincenzo de Paoli

Carceri: Premio Castelli per mostrare che “un’altra strada è possibile”

Il concorso letterario destinato ai detenuti delle carceri italiane promosso dalla Società di San Vincenzo de Paoli, con la collaborazione del Ministero della Giustizia e il patrocinio di Camera e Senato. L’intento, spiega il presidente nazionale, Antonio Gianfico, è anche “sensibilizzare la società ai temi della giustizia penale, a quelli del complicato rapporto tra le esigenze penitenziarie e le garanzie di dignità, le opportunità di riscatto che vanno sempre e comunque riconosciute alle persone private della libertà personale”. Venerdì 5 ottobre la cerimonia di assegnazione dei premi si è tenuta a Napoli, presso l’Istituto penale per minorenni di Nisida

Tornare indietro non è possibile, ma cambiare sì. Quante volte tutti noi, andando a ripercorrere il nostro passato, con gli occhi e la consapevolezza del presente, vorremmo non aver fatto certe scelte che hanno condizionato la nostra vita… Parte da questa riflessione il tema dell’11ª edizione del Premio “Carlo Castelli” per la solidarietà “Un’altra strada era possibile: che cosa cambierei nella società e nella mia vita”. Il Premio Castelli è un concorso letterario destinato ai detenuti delle carceri italiane promosso dalla Società di San Vincenzo de Paoli, con la collaborazione del Ministero della Giustizia e il patrocinio di Camera e Senato. La cerimonia di assegnazione dei premi si è tenuta a Napoli, venerdì 5 ottobre, presso l’Istituto penale per minorenni di Nisida. Ad essa è seguito un convegno dal titolo: “Strade sbagliate, vie alternative”, con la presenza, tra gli altri, di Luigi Accattoli, Maria Rita Parsi, Laura Nota, Ettore Cannavera.

Attenzione ai detenuti. “La Società di San Vincenzo De Paoli – spiega il suo presidente nazionale, Antonio Gianfico -, attraverso il premio, testimonia pubblicamente da undici anni la sua

attenzione al mondo del carcere e la vicinanza alle persone detenute,

che da sempre conforta e aiuta con i suoi volontari. E lo fa anche per sensibilizzare la società ai temi della giustizia penale, a quelli del complicato rapporto tra le esigenze penitenziarie e le garanzie di dignità, le opportunità di riscatto che vanno sempre e comunque riconosciute alle persone private della libertà personale”. Da quest’anno il Premio Castelli promuove un nuovo filone di riflessioni: “Invita il detenuto a riconoscere le cause e i comportamenti che lo hanno condotto in carcere. Si parla spesso, giustamente, di prevenzione, perché la devianza e il crimine non nascono dal nulla e non devono essere una scelta obbligata, o addirittura subita, quando giovani vite ne sono coinvolte”. Secondo Gianfico, “le considerazioni degli autori di questi racconti ci aiutano a individuare nuove vie di prevenzione, o semplicemente ci spingono a rafforzare quelle già conosciute e praticate dalle agenzie educative disponibili nella nostra società (famiglia, scuola, parrocchia, media…), ma che necessitano di un impulso importante dalle istituzioni pubbliche, ancora troppo orientate a perseguire la sicurezza nella repressione e nel contrappeso retributivo della pena”.

Il presidente Gianfico consegna a Papa Francesco l’antologia della scorsa edizione del Premio

Tre premiati. I partecipanti all’11ª edizione del Premio Castelli, sono stati 123. Tra gli elaborati pervenuti alla giuria, presieduta dal giornalista Luigi Accattoli, da molti istituti penitenziari di tutt’Italia, tre sono stati premiati e dieci segnalati. Insieme sono stati raccolti nell’antologia: “Alla ricerca della strada perduta”. La formula del concorso si basa sulla solidarietà nella condivisione dei premi, che vengono suddivisi tra il vincitore e una buona causa nel sociale – ad esempio la destinazione di materiale e sussidi didattici a una scuola di un Paese povero -, per permettere a chi ha sbagliato nella vita di riscattarsi offrendo un contributo alla società.

Fiammella di legalità. “Anch’io che sono stato un trafficante, uno dei peggiori, ho l’impressione di racchiudere una fiammella di legalità”. Lo scrive nel racconto che gli è valso il primo posto Massimiliano Avesani, che definisce quelli nella sua situazione “persone, passatemi il termine, diversamente oneste, capaci di riconoscere e condannare i reati altrui, ma non i propri”. Avesani, invece, ha trovato la sua “via” per comprendere la bruttura del suo reato, parlando con i propri figli: “Perché raccomandavo ai miei figli di non drogarsi, quando ho speculato sulla vendita di quei prodotti? Cosa hanno i figli degli altri meno dei miei? Già, signori, a volte,

per trovare la propria via, basta un colloquio e un briciolo di onestà intellettuale”.

“Ciò che mi preoccupa da quel giorno non è più la data di rilascio – ammette Massimiliano -, bensì il sapere chi sarò quel giorno e se sarò degno di affrontare lo sguardo dei miei figli e quello dei genitori di tutti gli altri”.

Istituto penale minorile di Nisida

Tempo per pentirsi. “La detenzione mi ha regalato tanto tempo durante la giornata, tempo vuoto da ogni impegno, dalle amicizie, dagli interessi, tempo che ho utilizzato per riflettere; dopo tanti anni trascorsi in un vortice sempre più veloce di emozioni, all’improvviso non avevo più nulla da fare, se non aspettare il corso della giustizia, e così, il tempo mi ha aiutato”, ammette Fabio “occhi belli”, che si è aggiudicato il secondo premio. “Ho preso coscienza, ho capito quanto indietro ero rimasto nel costruirmi una mia vita; rendermi conto di aver gettato anni della mia esistenza nella spazzatura, in qualche modo mi ha spaventato e mi ha dato la voglia di cambiare”, aggiunge. Per il giovane “sarebbe necessario aumentare il più possibile le opportunità formative dei giovani e trovare uno sbocco lavorativo concreto, aumentare i centri di aggregazione, spingere i giovani ad avvicinarsi a uno sport in modo da tenerli impegnati e impartirgli dei giusti valori. Bisognerebbe soprattutto attenzionare le zone delle città più disagiate, aumentare i servizi, diminuirne la dispersione scolastica, far capire a ogni singola persona che non è abbandonata a se stessa”.

Il vero dolore. “Un fiore tra le pietre” di Ali ha ottenuto il terzo premio. Il titolo è tratto dall’ultima riga che riassume in metafora la decisione di mettersi all’opera per “cambiare qualcosa” in una vita ancora giovane, ma che ha già sperimentato ogni smarrimento fino al tentato suicidio: “Butterò la mia paura come un anello nel mare per non ritrovarla mai più,

oggi è nato un fiore in mezzo alle pietre”,

sostiene il ragazzo, che guardandosi allo specchio ha capito di avere iniziato il viaggio di ritorno dalla perdizione: “Stavo piangendo per i miei errori e questa era la prima volta in cui il mio dolore era vero”.