Società
Una rappresentanza dei 60 ragazzi del Gruppo Giovani di Sos Villaggi dei Bambini e del Care Leavers Network di Agevolando presenta alle istituzioni dieci raccomandazioni su come accompagnare i neo-maggiorenni nel difficile momento dell’uscita dalle comunità che li hanno accolti fuori famiglia
In Italia sono circa 3.000 i care leavers, ossia ragazze e ragazzi che ogni anno, una volta compiuti i 18 anni, dopo un percorso di accoglienza fuori famiglia, allo scadere della tutela legata al loro status di minorenni, escono dalle comunità per avviarsi verso un percorso di autonomia economica e lavorativa, senza avere le necessarie tutele e il supporto adeguato. Per parlare delle difficoltà che affrontano, Sos Villaggi dei Bambini ha promosso oggi (6 novembre), a Roma, un incontro durante il quale una rappresentanza dei 60 ragazzi del Gruppo Giovani di Sos Villaggi dei Bambini e del Care Leavers Network di Agevolando, protagonisti del progetto europeo di Sos Villaggi dei Bambini “Prepare for leaving care”, ha presentato alle istituzioni “Il futuro si costruisce giorno per giorno”, decalogo per gli adulti nell’accompagnare la transizione dei care leavers, e un manifesto.
Dieci raccomandazioni. Sono dieci le raccomandazioni scritte dai ragazzi fuori famiglia per aiutare gli adulti a entrare nel loro mondo e così permettere loro di sostenerli nel modo migliore nella difficile fase di uscita dal percorso di accoglienza. “Non pretendiamo da un care leaver più di quanto non pretendiamo o pretenderemmo da un nostro figlio della loro età” è il primo punto. “Prepariamo la transizione come una nuova fase da realizzarsi in base a un progetto e con un percorso graduale e personalizzato, non come un semplice prolungamento dell’accoglienza” la seconda raccomandazione. Poi l’invito:
“Costruiamo il percorso e il progetto insieme al care leaver e ai care leavers”.
E ancora: “Riconosciamo in questo percorso l’importanza delle emozioni e la centralità delle relazioni significative”. “Alleniamo il care leaver all’interdipendenza: a individuare e a gestire con coraggio i tempi, le necessità e le opportunità della nuova esperienza di vita quotidiana”, la quinta voce. I giovani suggeriscono anche di “favorire il lavoro intersettoriale e tra le diverse professionalità”. Per i care leavers è importante la richiesta al settimo punto: “Individuiamo dei referenti adulti del percorso capaci di ascoltare, accompagnare e costruire opportunità nella transizione”. L’ottava raccomandazione riguarda la possibilità di prevedere “specifici percorsi formativi per gli adulti coinvolti nei percorsi e nei progetti della transizione”. La nona chiede l’impegno “nel prevedere e sollecitare specifiche risorse locali per questi percorsi e progetti”. Infine, la decima: “Rinnoviamo i riferimenti normativi e impegniamoci a rendere appropriati, stabili e congrui un fondo nazionale e degli specifici fondi regionali per l’innovazione e il sostegno della transizione”.
Ragazzi al centro. “Le dieci raccomandazioni sono un invito a praticare più che a predicare per evitare che ragazzi già provati, che hanno vissuto un’infanzia troppo breve, siano costretti a vivere anche una gioventù troppo breve. Di qui il deciso spostamento da un progetto verso l’autonomia a uno verso la transizione”, osserva il sociologo Valerio Belotti dell’Università di Padova. “La transizione può essere occasione di crescita solo se non è vissuta come lacerazione e abbandono”, sostiene Elisabetta Biffi dell’Università di Milano Bicocca. “Noi come organizzazione lavoriamo in 135 Paesi. Quando abbiamo avviato il progetto ‘Prepare for leaving care’ abbiamo coinvolto circa 140 ragazzi non solo italiani, ma la maggior parte di loro, una cinquantina dai 15 ai 24 anni, lo è – spiega al Sir Roberta Capella, direttore di Sos Villaggi dei bambini -. Il progetto è nato e continua anche grazie al contributo economico della Commissione europea. Quest’anno abbiamo coinvolto cinque regioni. L’anno prossimo nel progetto vorremmo coinvolgere anche altre regioni”. “Le raccomandazioni presentate sono frutto prevalentemente dei ragazzi italiani perché ci sono riferimenti precisi alla legislazione italiana, ma la raccomandazione di mettere il ragazzo al centro è una richiesta comune a tutti i Paesi: il poter essere ascoltati e il mantenere relazioni con le comunità di accoglienza sono importanti per diventare adulti consapevoli e restituire alla società quello che si è ricevuto”.
Un’indagine. Luisa Pandolfi dell’Università di Sassari presenta un’indagine per analizzare il punto di vista dei care leavers. Lo strumento è un questionario semi-strutturato. Nell’indagine, che prosegue fino al 31 dicembre, sono stati coinvolti 70 ragazzi tra i 18 e i 25 anni provenienti da Veneto, Emilia Romagna, Campania, Trentino Alto Adige e Sardegna. Sette le sezioni indagate: dati personali, vita in comunità, relazioni con gli altri, lavoro e formazione, sviluppo personale, uscita dalla comunità, osservazioni e considerazioni libere. Tra i dati raccolti, emerge che il 55,8% è entrato in comunità a meno di 13 anni; tra i motivi, il 54,7% è legato a problematiche familiari, mentre il 23% a un precedente affido fallito. La maggior parte dei ragazzi è stato più di 4 anni in affido. Inoltre, dall’indagine emerge che i ragazzi ritengono importante imparare le principali attività di gestione di vita quotidiana, partecipare in modo attivo alle decisioni che li riguardano, iniziare a rendersi autonomi prima di uscire dalla comunità, avere adulti di riferimento su cui poter contare e un lavoro. Alla domanda se ci si sente pronti a uscire dalla comunità, il 23,3% ha risposto poco e il 14% per niente.
“Dal questionario – evidenzia Pandolfi – emerge la voglia di essere partecipi, protagonisti, di farcela, ma anche la fragilità emotiva”.
Il manifesto. Nel manifesto i ragazzi raccontano la loro esperienza di vita: cosa ha funzionato o meno nel loro percorso e nel momento dell’uscita, quali persone sono state vicine e in che modo, quali emozioni hanno prevalso durante il periodo di transizione. “A 18 anni – scrivono – non è facile avere i pensieri di una persona adulta come casa, affitto, faccende domestiche, utenze. Per fare tutto questo avremmo bisogno di persone di cui ci fidiamo che ci possano sostenere nei nostri percorsi anche dopo l’uscita”. I giovani parlano anche del dolore provato “quando gli adulti di cui ci siamo fidati, al termine del progetto, spariscono e non si fanno più sentire”. Questo genera “molta frustrazione, delusione e senso di solitudine”. I ragazzi parlano anche della “rabbia” come reazione alle “emozioni contrastanti” che si vivono nel periodo di transizione.