Benedetta Bianchi Porro
La testimonianza di Benedetta Bianchi Porro ci fa comprendere il valore della vita in ogni suo momento. La sofferenza non è la causa della salvezza o della santità. Lo è la sfida accettata di scoprire un senso della vita, in un’esperienza che va oltre la sofferenza stessa.
Il decreto che riconosce le virtù eroiche della Benedetta suscita molta attenzione per questa nostra condiocesana. Ha sollevato sempre grande interesse per il modo in cui ha affrontato una malattia progressivamente invalidante. A volte si sente dire che la sofferenza è dono di Dio; che è un privilegio e altre affermazioni simili. Qui dobbiamo sottolineare che la sofferenza non è un dono, è piuttosto una condizione in cui ci si viene a trovare, dovuta alla combinazione di varie cause. Come diceva San Giovanni Paolo II, la storia è un combattimento di volontà, e aggiungeremmo di cause estranee alle volontà umane. La santità della Benedetta non è riassunta nella sofferenza, ma nella capacità di affrontarla, mantenendo la speranza nel valore della vita.
Nell’agonia del Getsemani, Gesù ha pregato: “Padre se è possibile allontana da me questo calice. Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Sembrerebbe che la volontà del Padre sia la morte in croce, in realtà sta nella fedeltà del Figlio all’incarnazione, alla sua missione. Essendo incarnato, fatto uomo, il suo destino è la morte, ma non la morte di croce; questa è dovuta alla decisione dei crocifissori. La croce gli ripugna ed egli si lamenta dell’abbandono del Padre: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ma anche: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Come dice un’opera di Ratzinger, nel Getsemani la volontà divina del Figlio e quella umana si scontrano e Gesù suda sangue. Qui troviamo le ragioni della santità di Benedetta, quasi un suo itinerario. In un primo momento si smarrisce ed è inquieta. Nel suo lungo dialogo con gli amici via via accetta la sfida della sofferenza, come prova della fede. Come Giobbe che dialoga con i tre amici lei, dopo aver sfidato Dio, comprende le sue vicende, si lamenta ma poi si fida di Lui e si abbandona.
La testimonianza di Benedetta ci fa comprendere il valore della vita in ogni suo momento. La sofferenza non è la causa della salvezza o della santità. Lo è la sfida accettata di scoprire un senso della vita, in un’esperienza che va oltre la sofferenza stessa. Le relazioni intessute, pur nella sua immobilità, le facevano scoprire l’amore di Dio in tutte le cose: un uccellino sul davanzale, un fiore, l’aria di primavera. Nelle sue lettere ne parla e condivide riflessioni con tanti amici. Il cammino di Benedetta non è solitario. Anche questi amici l’hanno accompagnata sulla strada della santità.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)