Giornata mondiale dei poveri
Nell’omelia della Messa per la Giornata mondiale dei poveri, a cui hanno partecipato nella basilica di San Pietro 6mila persone, il Papa si è soffermato sulla povertà come paradigma del cristiano: “Vivere a contatto con i bisognosi non è la moda di un pontificato”. “L’ingiustizia è la radice perversa della povertà”, ha ribadito, denunciando che il grido dei “tanti Lazzaro” nel mondo è sempre più forte, ma sempre meno ascoltato dai ricchi
Di fronte al grido dei “tanti Lazzaro” nel mondo, “il cristiano non può stare a braccia conserte”, perché “vivere a contatto coi bisognosi non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato”. Nell’omelia della Messa celebrata oggi nella basilica di San Pietro per la seconda Giornata mondiale dei poveri – scandita da tre azioni e da tre preghiere – il Papa ha tracciato l’identikit del cristiano, “viandante agile dell’esistenza”, e di una Chiesa “in cammino”, che sa navigare nella vita perché c’è Gesù a bordo, nonostante “la tempesta del momento”. “L’ingiustizia è la radice perversa della povertà”, ha ribadito Francesco, che ha stilato un elenco dettagliato del grido dei poveri nel mondo, “ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi”. Seimila i poveri che partecipano alla messa, accompagnati dai volontari e da esponenti delle numerose realtà caritative che li assistono quotidianamente. Dopo l’Angelus, il Papa pranza sedendosi a tavola con 1.500 di loro nell’Aula Paolo VI, mentre gli altri sono accolti in altre strutture della diocesi di Roma, così come avviene, in contemporanea, in molte altre diocesi.
“Noi non viviamo per accumulare, la nostra gloria sta nel lasciare quel che passa per trattenere ciò che resta”,
il monito di Francesco, nell’auspicare una Chiesa “sempre in movimento, esperta nel lasciare e fedele nel servire”. “Destaci, Signore, dalla calma oziosa, dalla quieta bonaccia dei nostri porti sicuri”, la prima preghiera: “Slegaci dagli ormeggi dell’autoreferenzialità che zavorra la vita, liberaci dalla ricerca dei nostri successi. Insegnaci a saper lasciare per impostare la rotta della vita sulla tua: verso Dio e verso il prossimo”. “In tutto Gesù va controcorrente”, il commento del Papa: “Prima lascia il successo, poi la tranquillità. Ci insegna il coraggio di lasciare”:
“Lasciare il successo che gonfia il cuore e la tranquillità che addormenta l’anima”.
“Salire verso Dio e scendere verso i fratelli, ecco la rotta indicata da Gesù”, dice Francesco: la direzione di marcia del cristiano è verso chi ha bisogno, verso “i veri tesori della vita: Dio e il prossimo”. “I discepoli di Gesù non sono fatti per la prevedibile tranquillità di una vita normale”, ribadisce il Papa: “Come il loro Signore vivono in cammino, leggeri, pronti a lasciare le glorie del momento, attenti a non attaccarsi ai beni che passano. Il cristiano sa che la sua patria è altrove. È un viandante agile dell’esistenza”.
“Solo Gesù, vince i nostri grandi nemici: il diavolo, il peccato, la morte, la paura”, garantisce Francesco: “La barca della nostra vita è spesso sballottata dalle onde e scossa dai venti, e quando le acque sono calme presto tornano ad agitarsi. Allora ce la prendiamo con le tempeste del momento, che sembrano i nostri unici problemi”.
“Ma il problema non è la tempesta del momento, è in che modo navigare nella vita”. “Il segreto del navigare bene è invitare Gesù a bordo”, la ricetta del Papa: se invitiamo Gesù nella barca della nostra vita, “i venti si calmano e non si fa mai naufragio”.
“C’è grande bisogno di gente che sappia consolare, ma non con parole vuote, bensì con parole di vita”, la proposta di Francesco. “Rincuoraci, Signore: consolati da te, saremo veri consolatori per gli altri”, la seconda preghiera.
“Vivere la fede a contatto coi bisognosi è importante per tutti noi. Non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato”.
Sono le parole del Papa dedicate alla povertà come paradigma del cristiano: “Siamo mendicanti di salvezza, fratelli e sorelle di tutti, ma specialmente dei poveri, prediletti dal Signore. Siamo poveri di vita vera e ci serve la mano tesa del Signore, che ci tiri fuori dal male. Questo è l’inizio della fede: svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi, e riconoscerci bisognosi di salvezza. La fede cresce in questo clima, un clima a cui ci si adatta stando insieme a quanti non si pongono sul piedistallo, ma hanno bisogno e chiedono aiuto”.
“Gesù ha ascoltato il grido di Pietro. Chiediamo la grazia di ascoltare il grido di chi vive in acque burrascose”. Nella parte finale dell’omelia, il Papa esorta ad ascoltare il loro grido:
“È il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti”.
“Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare?”, incalza il Papa: “Guardiamo alle nostre giornate: tra le molte cose, facciamo qualcosa di gratuito, qualcosa per chi non ha da contraccambiare?”, l’invito finale: “Tendi la mano a noi, Signore, afferraci. Aiutaci ad amare come ami tu. Insegnaci a lasciare ciò che passa, a rincuorare chi abbiamo accanto, a donare gratuitamente a chi è nel bisogno”, la terza preghiera dell’omelia.