Giovani
“Una generazione di scarti” che trova nel Papa il suo “avvocato difensore” e nella Chiesa la disponibilità all’ascolto. Così Thomas Leoncini, uditore al Sinodo, definisce l’universo dei giovani, ad un mese dalla conclusione dei lavori in Vaticano. “In aula sinodale – racconta al Sir – tecnicamente eravamo in qualche centinaio, ma per le testimonianze portate eravamo milioni di persone”
I giovani? “Una generazione di scarti”. Il Papa? Il loro “avvocato difensore”. Ad un mese dalla conclusione, Thomas Leoncini, scrittore, studioso di modelli psicologici e sociali e uditore al Sinodo traccia il ritratto di “una Chiesa coesa che sta seguendo Papa Francesco e ha capito la gravità della situazione dei giovani, ma soprattutto sta lavorando per fare qualcosa di pratico”, come dimostra il documento finale.
Un mese dopo, qual è la “fotografia” che ti porti ancora nel cuore?
È stato un mese storico perché la Chiesa si è fermata ad ascoltare un’intera generazione, quella dei giovani, considerandola per quello che è realmente: una generazione di scarti.
Può sembrare troppo pessimistica questa affermazione, ma i giovani sempre più globalmente vengono illusi e finiscono frustrati. Si arricchiscono, ma solo di competenze, che però non mantengono le promesse di occupazione e, quindi, di appagamento necessario per scaricare le tensioni accumulate. I giovani sono una generazione fragile, non solo nei legami con gli altri, ma anche nel profondo di se stessi, nel precario mondo del lavoro e del welfare, sempre più privilegio piuttosto che diritto.
Pensiamo appunto al lavoro: la logica non esiste più, si vive solo nell’input dei nuovi inizi e tutte le promesse in cui una volta si era propensi a credere, ora si sgretolano, si disintegrano lasciando ai giovani solo la frustrazione e un grande senso di inutilità.
Le prime grandi vittime di questa società liquida sono i giovani. Riconoscerlo non è così scontato, anzi, non tutti ne sono ancora consapevoli.
La fotografia post-Sinodo è di una Chiesa coesa che sta seguendo Papa Francesco e ha capito la gravità della situazione dei giovani, ma soprattutto sta lavorando per fare qualcosa di pratico. Il documento finale testimonia sicuramente questo sforzo.
Durante il primo Sinodo dedicato interamente ai giovani, Papa Francesco è stato uno di voi, anche nei momenti informali come la pausa caffè. Con il tuo libro “Dio è giovane”, in un certo modo, hai “anticipato” il Sinodo. Quale Papa hai conosciuto parlando con lui in quell’occasione, e quale Papa hai incontrato durante il mese di lavoro in Vaticano?
Lo stesso identico Papa, un Papa umano e testimone di vita.
Ho ritrovato quell’uomo senza filtri che ho conosciuto nel profondo delle sue emozioni, quelle che si soffermavano con un velo di nostalgia sulla sua infanzia a Buenos Aires. Durante i nostri sei lunghi incontri per scrivere “Dio è giovane”, tradotto in tutto il mondo, si è mostrato senza paura, raccontando anche i dolori della sua giovinezza, le sue paure più intime del Bergoglio bambino e adolescente. Papa Francesco non ha paura di essere se stesso e questo è indispensabile per essere amati dai giovani, che anche nelle periferie sono invece subissati da maschere e da esempi di predicatori che spesso razzolano male.
Non esagero quando dico che Papa Francesco è l’avvocato difensore dei giovani del mondo, non ha paura di frequentare il futuro, e frequentare i giovani significa frequentare il futuro.
Nel tuo intervento al Sinodo hai parlato, tra l’altro, della “latitanza” della politica nei confronti dei giovani: cosa fare per sollecitarne il protagonismo?
Siamo di fronte ad una società che si sta velocemente de-civilizzando. Solo fino a qualche anno fa parlare di razze avrebbe fatto sorridere e sarebbe sembrato anacronistico in un’epoca ritenuta così all’avanguardia come la nostra. Ora invece non ci si vergogna più a parlare di diversità come un problema da risolvere. E questo è un omicidio da ergastolo: l’omicidio del dialogo. La velocità con cui è cambiato questo aspetto è allarmante e pericolosa.
Sarebbe fondamentale creare un forte collegamento onesto tra i giovani e i vecchi: i giovani devono poter sognare un mondo democratico fatto di valori e ideali, non solo di utile immediato.
La politica, invece di tentare di risolvere questo problema, ha eretto a unico dio l’utile immediato e quindi, consapevolmente o inconsapevolmente che sia, sta assecondando questo stato di cose.
Tra i temi emersi dal confronto tra vescovi e giovani al Sinodo, quali ritieni siano più urgenti da affrontare, affinché la voce dei giovani sia realmente ascoltata e tenuta in considerazione?
Personalmente ritengo necessario che chi rappresenta la Chiesa, soprattutto nelle periferie, sia testimone di vita e di fede, parlando un linguaggio semplice e diretto che sia soprattutto ascolto, piuttosto che sentenza. Credo sia necessario discernere in modo molto urgente tra situazioni che richiedono un “supporto” e situazioni che invece richiedono un “recupero”, ma deve essere il giovane a chiedere di essere recuperato.
Un giovane deve essere libero di sbagliare, se sbaglia con coraggio e determinazione.
Sbagliare è sempre necessario per crescere e cambiare la propria vita, per conoscersi e capire che strada si deve intraprendere.
Se il giovane chiede supporto alla Chiesa, quest’ultima non può rischiare di finire nel moralismo e pretendere di avere una soluzione universale per ogni problema privato.
Il giovane che si avvicina al sacerdote perché ha un problema e vuole parlarne con qualcuno, è un giovane che teme il giudizio, vuole appunto un supporto, non vuole un recupero. Il giudizio dei sacerdoti, se non richiesto dai giovani, è un cappio al collo per la Chiesa.
La presenza dei giovani è stata, secondo te, determinante al Sinodo, oppure la Chiesa ha ancora dei passi da fare, e quali, per “sintonizzarsi” sulla vita concreta dei giovani?
La presenza dei giovani è stata indispensabile perché ognuno di loro ha portato le testimonianze dei giovani del loro Paese e il dialogo che si è creato è stato fecondo e pieno di voglia di cambiare le cose.
In aula sinodale tecnicamente eravamo in qualche centinaio, ma per le testimonianze portate eravamo milioni di persone.