XXV uccisione
Il vescovo, per l’anniversario che cade il 19 marzo 2019, ha presentato oggi la lettera pastorale “Per amore sentinelle e profeti”, nella quale traccia un profilo a tutto tondo del sacerdote che, “per amore del suo popolo” e in nome del Vangelo, seguendo l’esempio del buon Samaritano, non ha esitato a donare la vita perché la sua era una testimonianza scomoda che dava fastidio alla camorra
“La memoria di Don Peppino Diana e del suo sacrificio deve essere per noi tutti come una rinnovata chiamata a superare le logiche di un vivere ancora rassegnato alla prepotenza e all’illegalità e un reale e più efficace incoraggiamento a sviluppare, con serena franchezza di dialogo, una vitale unità di intenti e di azione orientate al bene comune”: lo scrive mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, nella lettera pastorale “Per amore sentinelle e profeti”, che il presule indirizza alla diocesi in occasione del XXV dell’uccisione di don Peppe Diana, il 19 marzo 1994, da parte della camorra. La lettera è stata presentata stamattina, 24 novembre, presso la curia vescovile di Aversa.
Rifiuto del male. In continuità con quanto vissuto e offerto da don Peppe Diana, “il nostro impegno di cristiani, e di uomini di buona volontà, dovrà sviluppare – esorta il vescovo – un sempre deciso e chiaro rifiuto di ogni forma di prevaricazione e di egoismo; dovrà evitare che il nostro stesso vivere quotidiano sia segnato da atteggiamenti di prevaricazione e di mentalità camorrista”. Effettivamente, aggiunge, “possiamo riconoscere” che
“il sacrificio di don Peppino è stato come un discrimine”,
“un momento della storia che, per tanti, rimane come una rinnovata vocazione ad amare questa terra, ad impegnarsi per donarle la dignità della giustizia e perché in essa gli uomini possano vivere il bene come figli dell’unico Padre”. Il tempo trascorso in questi venticinque anni “ha permesso a molti cittadini, e a molti cristiani, di rialzare lo sguardo, di riprendere la via segnata dalla profezia di don Peppe, di sentire di poter partecipare di quell’amore che non tace e che, mentre si piega sulle sofferenze del popolo e sui mali di cui è vittima, parla al suo cuore e alla sua mente, si mette al suo fianco per sostenerlo nel camminare insieme verso ciò che è giusto, onesto, vero, umano, verso ciò che permette di vivere, di assaporare, di gustare, di offrire il bene; verso ciò che può far tornare la nostra terra alla sua vocazione di Campania felix, terra feconda di vita”.
Testimone e sacerdote fedele. Per il presule, “il sogno di un’umanità libera e consapevole nel partecipare allo sviluppo della vita del mondo è la meta comune per tutti coloro che riconoscono in don Peppe Diana un testimone nella ricerca della verità e un sacerdote che ha vissuto nella Chiesa e con la Chiesa la fedeltà alla carità di Dio e alla giustizia tra gli uomini”. Secondo mons. Spinillo, “don Peppe Diana non può essere indicato solo come ‘un prete anticamorra’” né “si può ridurre la sua esperienza e la sua attività solo a questo tipo di impegno”, ma “è altrettanto vero che nessun prete, mai, nel suo più ampio impegno pastorale e nella sua vita spirituale, potrà passare accanto al male, che è anche la prepotenza e l’illegalità della camorra, e restare indifferente a quel peccato che soffoca l’anelito di vita delle creature di Dio Padre”. Di qui l’invito a “sviluppare un dialogo sempre più sincero e sereno perché, tutti insieme, possiamo camminare ed aiutare la nostra gente a crescere nella verità, a cogliere i molteplici aspetti della verità, a conoscere in maniera vera il sacerdote don Peppe Diana ed il suo messaggio, che è stato un messaggio evangelico”
Cuore irrequieto. A proposito dell’irrequietezza che lo stesso don Peppe riconosceva nel suo carattere, il vescovo sottolinea: “La sua è stata l’inquietudine di un’anima che, spesso con moti piuttosto impulsivi, ha espresso un fondamentale orientamento a cercare il giusto della vita, a vivere anche repentini cambiamenti, a non sentirsi mai soddisfatto della tranquillità di situazioni ritenute consolidate e come inutilmente immutabili”. Ma
“l’inquietudine è propria del profeta,
del credente che non si accontenta di salvaguardare la propria incolumità, che non chiude il cuore nello spazio limitato e soffocante di un’omertosa forma di tranquillità personale”. E ancora, “L’inquietudine e l’insoddisfazione tengono desta l’umanità, la chiamano ad una reale conversione. Così, mi pare di poter dire, ha vissuto la sua fede don Peppe Diana, nell’inquietudine che lo chiamava ad una continua conversione delle sue attenzioni verso le situazioni che la vita stessa, provvidenzialmente gli veniva a proporre”. E “come è accaduto ad ogni profeta, l’insoddisfazione per una realtà umanamente tanto ingiusta, gli ha fatto sperimentare, potremmo dire che gli ha fatto sentire nella sua stessa carne, la distanza incolmabile che separa la giustizia dall’ingiustizia”.
“Chi è don Peppe?” chiese l’uomo che, entrato improvvisamente nella sacrestia della chiesa di San Nicola in Casal di Principe, alla risposta “Sono io don Peppe”, sparò quattro colpi di pistola al sacerdote che si apprestava a celebrare la Messa del mattino, e lo uccise alle 7,30 del 19 marzo 1994. Ricordando il giorno dell’omicidio di don Diana, il vescovo evidenzia: “Se è vero, come è vero, che la mafia, la camorra non agiscono mai a caso e che quando colpiscono una loro vittima studiano i tempi e le modalità perché quell’azione rimbombi come un avviso minaccioso della loro prepotente presenza su un territorio, su un ambiente, su una popolazione, la scelta del giorno onomastico di Don Peppe, del luogo e del momento particolare della giornata, sembrano dire che lo si è voluto colpire nel suo essere sacerdote”,
“nel suo essere anzitutto sacerdote, senza alcun’altra difesa che una Chiesa dalle porte aperte”.
Speranza pastorale. In don Diana si coglie “la passione propria dell’animo di un sacerdote che proietta tutto se stesso, ogni pensiero e ogni agire in una speranza pastorale, ovvero nella possibilità di far crescere la vita in tutti coloro per i quali il discepolo del Cristo sa di essere stato chiamato ad annunciare la salvezza”. “Credo che ancora oggi, per tutti noi, il martirio di don Peppino Diana, e di ogni altra vittima della camorra, anche di chi non è stato ucciso, ma è rimasto impigliato e imprigionato nelle terribili maglie delle sue reti – conclude il presule -, risuoni come un invito a camminare con più intensa volontà di testimoniare che solo nel Vangelo del Signore, nel rispetto e nell’accoglienza di ogni persona umana, si trova salvezza e vita per tutti”. Il venticinquesimo dell’uccisione di Don Peppino Diana, allora, “ci invita a riprendere ancora, e sempre in maniera nuova,
il cammino di verità, di giustizia, di carità, di santità che ogni testimonianza di vita cristiana, particolarmente nel martirio, esalta agli occhi del mondo intero.
Il mondo intero, infatti, l’umanità, la nostra terra, la nostra gente attendono, sperano – conclude mons. Spinillo – presenze che con il loro vivere siano annuncio di vita”, proprio come è stato don Peppe Diana.