Società
A 10 anni dall’inizio della crisi economica l’uscita dal tunnel per molti è ancora lontana. E così, di delusione in delusione, è aumentata la rabbia e con essa il rancore, fino ad approdare al populismo governativo di marca giallo-verde, abile, più di altri, a cavalcare le insoddisfazioni e le paure diffuse e a mettere in campo una politica dell’annuncio a buon mercato. È evidente che il nostro Paese ha bisogno di ricostruire il senso di comunità, aperta, solidale, capace di farsi carico uno dell’altro
Non ci sono molti fattori per cui sorridere alla fine della lettura del 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Quello che emerge, infatti, sembra un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, o per dirla con il titolo del Rapporto un’Italia “preda di un sovranismo psichico” che talvolta assume “i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.
La cattiveria diventa il portato finale di un processo che ha avuto nell’esplosione del rancore una sua tappa decisiva. Tante le ragioni che il Rapporto Censis adduce a una situazione che non ci fa stare bene e alimenta in molti una sorta di pessimismo cosmico per il futuro.
Gli italiani negli ultimi anni hanno scommesso su progetti politici diversi ricavandone ogni volta cocenti delusioni. Si aspettavano lo stop al declino, la ripresa economica, il ritorno di stagioni di benessere diffuso e crescente. E invece a 10 anni dall’inizio della crisi economica l’uscita dal tunnel per molti è ancora lontana. E così, di delusione in delusione, è aumentata la rabbia e con essa il rancore, fino ad approdare al populismo governativo di marca giallo-verde, abile, più di altri, a cavalcare le insoddisfazioni e le paure diffuse e a mettere in campo una politica dell’annuncio a buon mercato.
Questa delusione è stata anche alimentata dall’amplificarsi delle differenze, testimoniate dall’allargarsi della forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane (evidenzia il Censis) quelle operaie si posizionano oggi a 72 (erano 76 nel 2014), mentre quelle degli imprenditori a 123 (erano 210 nel 2014). Questo si traduce nella “assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”. Per molti diventa il rovescio del miracolo economico, il sogno che diventa un incubo.
Altro fattore che ha contribuito a rendere ingrugnito l’approccio di molti italiani è quella che viene definita “l’insopportazione degli altri”. Tale approccio “sdogana” i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili. Le diversità degli altri sono percepite come pericoli e alimentate da una percezione spesso distorta della realtà.
In tale contesto l’atteggiamento di accoglienza, apertura, solidarietà viene liquidato come “buonismo”, sostantivo sprezzante che indica un comportamento fondato su quelli che si considerano buoni sentimenti mielosi, totalmente inefficaci e anzi controproducenti. Ora l’atteggiamento che va per la maggiore è quello che è definito “un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi”.
Emerge l’immagine di una comunità frantumata, dove quello che sembra contare è il singolo e i suoi bisogni. La nostra – si legge – è “una società che si lascia” come testimonia “la rottura delle relazioni affettive stabili”. “Ci si sposa sempre di meno e ci si lascia sempre di più”, chiosa il Censis. Il risultato è che cresce quella che l’Istituto di ricerca definisce la “singletudine”: le persone sole non vedove sono aumentate del 50,3% dal 2007 al 2017 e oggi sono poco più di 5 milioni.
Di fronte a un quadro di questo tipo è evidente che il nostro Paese ha bisogno di ricostruire il senso di comunità, aperta, solidale, capace di farsi carico uno dell’altro, nella consapevolezza che oggi più che mai è vero l’antico adagio che ci dice “O ci salviamo insieme o periamo insieme”. A noi la scelta.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)