Politica

Qui Belgrado: migliaia in piazza contro il presidente Vucic

È stato un fine anno bollente per la Serbia e il suo capo di Stato: nelle ultime settimane di dicembre 50mila persone hanno affollato il centro di Belgrado chiedendo le sue dimissioni. Nel frattempo sono peggiorati anche i fragili rapporti con il Kosovo. Il punto della situazione con gli analisti locali Nikolay Krastev e Dragan Janjic.

Decine di migliaia di persone hanno inondato le strade di Belgrado alla vigilia di Capodanno. È la quarta domenica consecutiva di proteste antigovernative contro il presidente Alexander Vucic, uomo al potere in Serbia da 6 anni. La tensione nel Paese balcanico è in crescendo, ogni sabato le proteste diventano sempre più numerose. Ormai si manifesta non solo a Belgrado ma anche a Novi Sad, Sabac, Krusevac e in altri centri importanti.

Nikolay Krastev

Uno Stato autocratico? “Purtroppo, nell’era di Vucic siamo testimoni di un governo di tipo autocratico – spiega al Sir Nikolay Krastev, analista politico dei Balcani e giornalista di Bloomberg Tv Bulgaria -, lo stato della democrazia, della libertà di stampa e della suddivisione dei poteri è peggiorato, nonostante la Serbia sia nella fase dei negoziati per aderire all’Ue”. A suo avviso, a Belgrado “il controllo dei media da parte del governo è quasi totale e ciò è stato denunciato più volte dagli osservatori internazionali”.

Una protesta organizzata ad hoc. Il popolo della protesta è variopinto ma il loro tragitto a Belgrado è quasi lo stesso, si riuniscono di fronte alla “Trga Slavlia” e proseguono di fronte al Parlamento, alla sede del governo ma il 29 dicembre si sono fermati anche accanto alla tv pubblica Rts, alla quale chiedono dei “reportage più obiettivi”.

“Vogliamo un cambio del sistema!”. “Basta promesse e bugie, i pensionati non hanno pane”. “La violenza non risolve nulla”. Sono alcuni dei slogan che si distinguono tra la folla.

Il casus belli. Il malcontento popolare è stato provocato dall’incidente con l’attivista dell’opposizione Borko Stefanovic, brutalmente attaccato e picchiato a sangue nella città di Krusevac (Serbia del Sud). La polizia aveva dichiarato di aver preso i responsabili ma i sospettati negano ogni coinvolgimento e sono già stati rilasciati. Per questo tra le richieste ci sono anche le dimissioni del ministro dell’Interno Nebojsa Stefanovic.

Alexander Vucic

Dietro le quinte. Anche se le manifestazioni non sono organizzate dall’opposizione – tra i partecipanti si nota una sua parte, poco rappresentata nel Parlamento, dove invece il Partito progressita (Sns) di Vucic dispone di una maggioranza schiacciante (160 su 250 parlamentari) – ci sono diversi filoccidentali, intelettuali, attori che ritengono che le loro libertà di cittadini sono sotto pericolo. L’organizzatore formale è il gruppo “Protesta contro la dittatura” che, nell’aprile del 2016, aveva già convocato marce simili. In quel frangente Vucic è stato eletto presidente della Repubblica.

Dragan Janjic

La risposta di Vucic. “È più che chiaro che le proteste sono contro la figura di Alexander Vucic”, spiega l’analista Krastev ricordando il passato nazionalista del presidente serbo: “All’inizio della sua carriera politica era affiliato con Slobodan Milosevic, uno degli artefici della guerra in Jugoslavia, condannato dal Tribunale dell’Aja”. Riguardo il malcontento per le strade però, Alexander Vucic appare tranquillo. “Sono stato eletto con voto democratico grazie all’appoggio di tantissimi serbi e non intendo tirarmi indietro sotto la pressione della gente per strada, anche se a protestare uscissero 5 milioni”, ha dichiarato alla televisione Pink. Come reazione, i manifestanti hanno scelto lo slogan “siamo 1 di 5 milioni”. Per Dragan Janjic, altro analista politico di Belgrado, “i governanti hanno paura della protesta, per questo continuano a insistere che dietro il malcontento della gente ci sono forze politiche dell’opposizione”.

Elezioni anticipate. A questo punto la domanda sulle eventuali elezioni anticipate è più che legittima. “Non escluderei delle elezioni anticipate in primavera – afferma Krastev -, uno spoglio servirebbe anche a Vucic la cui popolarità è calata abbastanza negli ultimi anni”. “Il problema – ammette l’analista – è che non c’è un’alternativa concreta, una personalità o un partito che portino a compimento le riforme necessarie, ritardate da decenni in Serbia”.

Secondo gli ultimi sondaggi del centro Cesid, Vucic gode del 53,3% dei consensi.

Il nodo Kosovo. A questo contesto complicatissimo si aggiunge l’eterna diatriba dei rapporti con il Kosovo. Dieci anni dopo la fine della guerra, la maggior parte dei serbi, tra cui la Chiesa ortodossa, esclude categoricamente ogni possibilità di riconoscere Pristina ufficialmente, nonostante gli innumerevoli vertici dei rispettivi capi di governo con la mediazione di Bruxelles. Anzi… Belgrado ha fatto di tutto per impedire l’adesione del Kosovo in Interpol e da Pristina hanno introdotto dazi su tutti i prodotti in ingresso dalla Serbia, fino a quando Belgrado non riconoscerà la sovranità del Kosovo. “A volte i politici serbi promettono a Bruxelles e Washington cose che non possono soddisfare”, spiega Janjic.

Intanto gli animi sono in subbuglio anche per la prossima visita del presidente russo Vladimir Putin, perché la Russia rimane storica alleata della Serbia soprattutto per il Kosovo.

Un ritorno del nazionalismo? “Sembra che il tempo sia tornato indietro: siamo agli inizi degli anni ’90, ci sono le proteste contro Milosevic, e… il nazionalismo, che sembrava sepolto, sta riemergendo nella retorica che si sente a Belgrado”. Ne è testimone anche “il vaso di Pandora dei rapporti Belgrado-Pristina”, concludono i due analisti: “Come se a 20 anni dalla fine della guerra, si iniziasse di nuovo daccapo”. Intanto si prospetta un anno molto intenso per la Serbia, mentre la prossima protesta dei malcontenti a Belgrado è convocata per il 5 gennaio.