Economia
Il vero nodo è che si andrà a fare più deficit non per aumentare gli investimenti e rilanciare l’economia e l’occupazione (com’era nei ragionamenti iniziali del ministro Tria che pensava a una manovra veramente espansiva), ma per finanziare misure che diventeranno spesa corrente e crescente del tempo. Gli investimenti, addirittura, diminuiscono e insieme all’aumento della tassazione concorrono a delineare una prospettiva inquietante in una fase in cui la congiuntura internazionale rallenta e il nostro Paese rischia di ritrovarsi in una nuova recessione senza ancora essere uscito da quella precedente
Il titolo esatto è questo: “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2022”. Nel linguaggio corrente, però, si chiama “legge di bilancio” o “manovra economica” (che però a rigore esprime un concetto più ampio). E’ la legge n. 145 del 30 dicembre 2018, la si trova sulla Gazzetta ufficiale n. 302 del 31 dicembre 2018, supplemento ordinario n. 62. E’ un testo enorme, sviluppa 211 pagine. Consta di appena 19 articoli, ma soltanto il primo di essi contiene ben 1.143 commi. E’ il risultato del cosiddetto “maxiemendamento”, presentato in extremis dal governo per recepire i termini dell’accordo con la Commissione europea e approvato dal Parlamento in un colpo solo e a scatola chiusa. Una modalità così estrema da diventare oggetto di un ricorso alla Corte costituzionale. Tutto per varare il provvedimento entro il 31 dicembre ed evitare l'”esercizio provvisorio di bilancio”, una condizione disastrosa per il Paese: in pratica il governo potrebbe gestire mese per mese, per un massimo di quattro mesi, soltanto l’ordinaria amministrazione, a spesa bloccata. Per questo anche il Capo dello Stato si è trovato nelle condizioni di promulgare la legge di bilancio “pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore”, come ha tenuto a sottolineare nel discorso di fine anno, aggiungendo che “la grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento”.
E’ facile intuire che in una legge del genere ci sia praticamente di tutto. Compresa una norma che aumenta le tasse per il volontariato e il terzo settore, su cui il governo si è già impegnato a fare marcia indietro. Una legge in cui ci si fa carico persino della richiesta di proroga delle concessioni balneari e in cui però si ritiene indispensabile tagliare i fondi per l’editoria no profit.
Tra migliaia di commi, la struttura fondamentale della manovra è però riconducibile a tre elementi portanti che assorbono gran parte delle risorse, vale a dire gli stanziamenti per il reddito di cittadinanza, per la quota 100 sulle pensioni e per disinnescare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia che l’Italia da anni si porta dietro come garanzia rispetto agli sforamenti dei conti. La “flat tax”, altro cavallo di battaglia elettorale delle forze di maggioranza (della Lega, in particolare), si è per ora risolta nell’introduzione di un’aliquota forfettaria del 15% per le partite Iva sotto i 65 mila euro. Nel complesso, peraltro, le tasse non sono diminuite, anzi, sono leggermente aumentate: dal 42% al 42,4%, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio.
Il rapporto tra il deficit pubblico e il Pil (l’indicatore che misura convenzionalmente la crescita o decrescita dell’economia) si è assestato sul 2% (2,04%, per la precisione) a fronte del 2,4% solennemente annunciato dalla maggioranza di governo per rivendicare la libertà di spendere di più a dispetto dei vincoli europei. Alla fine è stato necessario comunque arrivare a un accordo con la Commissione Ue e ridurre l’extradeficit entro limiti accettabili da Bruxelles.
L’Italia comunque aumenterà il debito pubblico (che è già uno dei maggiori al mondo e alla collettività costa miliardi in termini di interessi), ma il profilo più critico della manovra non è neanche questo.
Il vero nodo è che si andrà a fare più deficit non per aumentare gli investimenti e rilanciare l’economia e l’occupazione (com’era nei ragionamenti iniziali del ministro Tria che pensava a una manovra veramente espansiva), ma per finanziare misure che diventeranno spesa corrente e crescente del tempo. Gli investimenti, addirittura, diminuiscono e insieme all’aumento della tassazione concorrono a delineare una prospettiva inquietante in una fase in cui la congiuntura internazionale rallenta e il nostro Paese rischia di ritrovarsi in una nuova recessione senza ancora essere uscito da quella precedente. Il governo ha ridimensionato le previsioni di crescita, portandole all’1% dall’1,5% iniziale. Ma molti indicatori fanno temere una crescita ancora più ridotta. E senza una crescita significativa non ci capisce, per esempio, da dove spunteranno fuori i posti di lavoro necessari a rendere il reddito di cittadinanza un’operazione non assistenzialistica.
Un altro profilo molto critico della manovra è quello relativo ai tempi. La preoccupazione della maggioranza di governo è stata essenzialmente quella di rendere esecutive prima delle elezioni europee i due provvedimenti di bandiera (reddito di cittadinanza e quota 100), scaricando sugli anni successivi maggiori spese in misura imponente. Basti pensare che la nuova clausola di salvaguardia dei conti introdotta per il 2020 prevede un aumento dell’Iva di ben 23 miliardi. Per non parlare della dinamica della spesa pensionistica, contenuta quest’anno con accorgimenti vari, ma destinata a lievitare nel 2020-2021.