Porti chiusi
Tre anni fa nel Mediterraneo erano in azione per salvare vite umane 9 Ong con 12 navi, ora sono rimaste solo in 3: Open Arms, Sea Watch e Sea Eye. L’ultima penosa vicenda della Sea Watch 3 e Sea Eye con 49 persone a bordo da 19 giorni si è conclusa la settimana scorsa, dopo faticose trattative tra 8 Paesi europei che hanno accettato di ripartirsi i migranti. L’Italia ha detto che ne accetterà 10/15. Di fatto non costeranno nulla allo Stato, perché saranno accolti a completo carico della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei). Ma nel frattempo i governi europei continuano a porre ostacoli su ostacoli all’azione delle navi di soccorso
Come ambulanze che arrivano in ospedale e trovano le porte chiuse. Così si sentono le poche Ong rimaste ancora nel Mediterraneo a salvare vite umane. Con enormi difficoltà perché non trovano un porto che consenta loro lo sbarco. Tre anni fa erano 9 con 12 navi ora sono rimaste solo in 3: Open Arms, Sea Watch e Sea Eye. L’ultima penosa vicenda della Sea Watch 3 e Sea Eye con 49 persone a bordo da 19 giorni si è conclusa la settimana scorsa, dopo faticose trattative tra 8 Paesi europei che hanno accettato di ripartirsi i migranti. L’Italia ha detto che ne accetterà 10/15. Di fatto non costeranno nulla allo Stato, perché saranno accolti a completo carico della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei). Di fatto le 49 persone, tra cui donne e bambini, sono ancora rinchiusi nei centri di Malta, in attesa di sapere quale sarà il loro destino. E non è detto che non sia un rimpatrio o la Libia, anziché l’Europa. Nel frattempo i governi continuano a porre ostacoli su ostacoli all’azione delle navi di soccorso. Secondo le Ong è in atto una palese opera di mistificazione della realtà e disinformazione, violando le normative internazionali e italiane. Da quanto risulta all’Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione) non è stata emanata alcuna direttiva che impedisce lo sbarco nei porti italiani. Meglio: i porti italiani sono spalancati per navi da crociera, turisti, merci, ma non per i migranti.
“Ma noi non siamo pesci”,
aveva detto Fanny, una delle 32 persone a bordo della Sea Watch 3, fuggita dal conflitto armato nella Repubblica democratica del Congo, incredula di sapere che l’Europa non aveva intenzione di accoglierla. Nel frattempo, mentre la politica grida vittoria per 100.000 migranti in meno rispetto al 2017, si viene a sapere che ogni giorno 45/50 persone continuano a sbarcare lo stesso in Italia, con mezzi di fortuna: barche, velieri. Un esempio sono i 51 curdi soccorsi giorni fa dai cittadini di Melissa, in Calabria. L’obiettivo è fermare solo l’azione delle Ong, testimoni scomodi, mentre in mare si continua a morire. Nell’ultimo naufragio nel mare Egeo è morta una bimba di 4 anni. Se ne è parlato oggi a Roma, durante una conferenza stampa sulla politica europea nel Mediterraneo convocata da Sea Watch, Open Arms e Fcei.
Sea Watch, in mare per colmare un vuoto. “Noi Ong eravamo andate in mare per colmare un vuoto e fare pressione sull’Europa. Chiedevamo di mettere in atto un dispositivo di salvataggio delle persone. Avevamo iniziato con una nave piccola, poi le stesse autorità ci hanno chiesto di dotarci di un assetto più grosso. Invece oggi veniamo accusati di avere degli interessi. Ora è come se fossimo delle ambulanze con l’ospedale chiuso. Noi resistiamo e ci siamo ma non sappiamo ancora se arriveremo all’estate”, ha detto Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch. Lei è salita a bordo della nave Sea Watch 3 e ha raccontato alcune storie drammatiche delle 32 persone salvate: “Un ragazzo libico, che si è gettato in acqua per tentare di arrivare sulle coste di Malta, è una delle persone per cui eravamo più preoccupati. È stato rinchiuso per quattro anni nelle carceri libiche ed ha subito atrocità che il capo missione non ha potuto raccontarci per rispettare la sua dignità. È stato torturato ogni giorno, ha visto uccidere davanti ai suoi occhi il fratello di 12 anni. Aveva le gambe e i piedi coperti di cicatrici. Durante i 19 giorni in mare ha rifiutato il cibo ed è stato sempre sdraiato sotto la coperta senza parlare con nessuno”. “Questo caso così piccolo ha spaccato in due l’Europa e l’Italia e non è motivo di orgoglio – ha precisato Linardi -. Noi siamo i primi a dire da anni che l’Italia non va lasciata sola nella gestione di un fenomeno che non si fermerà”.
“Serve un approccio europeo strutturale e non penosi e lunghi accordi ad hoc”.
Open Arms farà ricorso contro il blocco della nave a Barcellona. Ieri Open arms ha annunciato che la Capitaneria di porto di Barcellona ha bloccato la sua nave, che doveva ripartire per una missione di salvataggio nel Mediterraneo centrale. “Abbiamo fatto ricorso e ribadito che fermare noi è come fermare le ambulanze perché gli ospedali non vogliono più ricoveri – ha scandito Riccardo Gatti, capo missione di Open Arms -. L’obiettivo è far sparire tutti dal Mediterraneo centrale. Senza le navi delle Ong ci saranno molti più morti ma non si saprà”. “Accusano noi di violare le normative perché le persone non vengono soccorse e sbarcate nel minor tempo possibile – ha puntualizzato -. Ma tutti sanno che siamo costretti a prolungare il tempo in mare delle persone salvate. Perché se non ci danno un porto di sbarco è inevitabile stare almeno 6/8 giorni in mare prima di arrivare in Spagna. La responsabilità di tutto ciò va cercata nei comportamenti illeciti dei governi, prima di tutto Malta e Italia”.
Porti chiusi? Ogni giorno continuano a sbarcare 45/50 persone. E’ stato Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto, a ricordare che “in questi ultimi 7 mesi in cui viene affermato che i porti sono chiusi, il flusso di migranti e profughi è stato quantificato in maniera attendibile in 45/50 persone al giorno che sbarcano sulle nostre coste con mezzi di fortuna: barchini e barche a vela. Raggiungono la Sicilia, la Sardegna, la Calabria e la Puglia”. I dati forniti da Manconi, già senatore e presidente della Commissione diritti umani per tanti anni, vengono dall’Ispi e “non contrastano con i dati ufficiali”.
Mediterranea, “forzature pericolose”. A denunciare “forzature pericolose in atto da parte delle istituzioni” è stata Lucia Gennari, avvocato, della piattaforma della società civile Mediterranea saving humans. “Esiste un diritto del mare e un diritto a chiedere asilo che non vengono rispettati – ha chiarito -. I porti sono chiusi ma non esiste un provvedimento. Questo vuol dire che ogni diritto potrebbe essere messo in discussione, perfino il diritto di voto”. “Il diritto a soccorrere le persone non c’è più perché è stato delegato alla Guardia costiera libica, che nel 2018 ha intercettato 10.000 persone – ha ricordato -. E nemmeno il diritto a sbarcare in un porto sicuro. Senza ricordare che l’omissione di soccorso in mare è un reato. Anche il diritto d’asilo viene aggirato, con modalità informali e non trasparenti”.
“È in corso un ribaltamento della legalità ma noi continueremo ad agire con gli strumenti del diritto”.
Se qualcuna delle 49 persone sbarcate dalla Sea Watch e Sea Eye, ancora rinchiuse nei centri a Malta, deciderà di presentare ricorso alla Corte europea per i diritti umani, ha precisato, “le supporteremo”.
Fcei, “incentivare accordi europei sugli sbarchi”. “Dobbiamo trovare una piattaforma a livello europeo per pianificare i prossimi sbarchi. Compito delle Chiese è anche incentivare questi accordi”. È l’auspicio di Christiane Groeben, vicepresidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei). “Dà fastidio quando il ministro dell’Interno parla della probabilità di accogliere 10/15 persone senza dire che allo Stato non costa niente, perché pagano tutto le Chiese. Non fa una bella figura”, ha precisato Groeben. Il pastore Marco Fornerone, della Chiesa valdese di Piazza Cavour a Roma, ha ribadito: “Il nostro compito di essere tra le voci che affermano la dignità umana e ricondurre il dibattito sulle migrazioni ad un senso di realtà, mentre oggi è viziato da molte deformazioni”. E citando Martin Luther King:
“nessuna menzogna può vivere per sempre”.