Società
Una Chiesa aperta, schietta e altruista è il veicolo più adatto a raccogliere tutti gli elementi per la crescita. In nome di un tempo che parli a tutti, nessuno escluso
Il 2019, appuntamento tanto atteso, è arrivato. Il cambiamento, la svolta storica, l’evoluzione annunciati da tanto tempo non sono, ovviamente, scattati allo scoccare della mezzanotte, perché sono dentro di noi, appartengono al nostro personale percorso che coincide con l’Anno del Sinodo.
Un appuntamento, in questo ultimo caso, storico anche per la cristianità, a giudicare dagli appuntamenti che attendono il Pontefice e la nostra comunità a cominciare dalla Giornata della Gioventù, in programma a Panama dal 22 al 27 gennaio. Ai giovani di tutto il mondo saranno affidati approfondimenti e riflessioni su questo tempo, quanto mai carico di contraddizioni.
In una società che guarda al futuro con un approccio sempre meno misterioso (la Cina ha appena inviato una sonda sulla Luna per sperimentare la coltivazione di nuove colture e, in prospettiva, forme di vita per una stazione lunare), c’è una parte sempre meno marginale dell’umanità che ancora oggi non ha accesso alle cure, all’istruzione, ai diritti civili. Esiste, dunque, una distanza fra classi sociali che nemmeno le conoscenze più avanzate sono riuscite ancora a superare. In una civiltà in cui i gap sono ancora così profondi, diventa fondamentale il ruolo di coloro che si occupano del bene pubblico, che gestiscono le istituzioni a capo delle comunità, ma anche di chi pensa al nostro animo, alla spiritualità di cui ogni essere umano è custode. La domanda è, allora: quale Chiesa vogliamo? Una Chiesa-chioccia o, al contrario, una Chiesa che comprenda, rifletta, approfondisca e condivida gli interrogativi dei fedeli?
Difficile individuare un elemento di sintesi. Difficile ma non impossibile perché la Chiesa, anche attraverso la straordinaria esperienza del volontariato, raggiunge il disagio, la solitudine, la difficoltà e se ne fa carico. Diventa, perciò, vitale raccogliere la provocazione di Papa Francesco che nell’udienza generale del nuovo anno ha invitato ad un esame di coscienza profondo e aperto dicendo: “Le persone che vanno in chiesa, stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente sono uno scandalo: meglio vivere come un ateo anziché dare una contro-testimonianza dell’essere cristiani. Il cristiano – ha aggiunto – non è uno che si impegna ad essere più buono degli altri: sa di essere peccatore come tutti. Il cristiano, semplicemente, è l’uomo che sosta davanti alla rivelazione di un Dio che chiede ai suoi figli di invocarlo con il nome di Padre, di lasciarsi rinnovare dalla sua potenza e di riflettere un raggio della sua bontà per questo mondo così assetato di bene, così in attesa di belle notizie”.
Questa sfida con noi stessi, ci riguarda tutti perché tutti contribuiamo alla Chiesa, alla sua costruzione quotidiana, alla sua presenza sui territori. A questa Chiesa si rivolgono anche i materani, che quest’anno sono chiamati ad una grande sfida non solo culturale. La città affronterà un appuntamento al quale la comunità dovrà partecipare con convinzione non soltanto nei momenti conviviali, che non mancheranno grazie ad un calendario di eventi estremamente ricco, ma anche in quelli di riflessione. Matera dovrà essere in grado di dimostrare che il paradigma che vuole il Sud arretrato e parassita, non ci appartiene più da tempo, sostituito da un Mezzogiorno che potrebbe trainare il resto del Paese. Il condizionale, purtroppo, si impone ancora, come confermano i dati che ci vogliono ancora indietro in molti settori.
Colpa di una politica impegnata a litigare e non a progettare? Sì, ma non solo. Lo ha spiegato molto chiaramente il vescovo di Matera-Irsina, don Pino Caiazzo nella sua omelia del 31 dicembre, in occasione della Marcia della Pace. “Riprendendo il messaggio di Papa Francesco per questa giornata – La buona politica è al servizio della pace – credo che siamo tutti concordi che si avverte il bisogno di un rinnovamento che metta al centro dei diversi schieramenti un umanesimo che significa rispetto, dialogo sincero e positivo. Una politica litigiosa diventa sterile e non serve l’uomo”, ha concluso.
Ma non è solo alle istituzioni che bisogna pensare in questa fase di ricostruzione. Se la classe dirigente guarda con attenzione alle prossime elezioni regionali, sono i cittadini a dover interrogarsi, limitando ad esempio la continua emorragia di ragazzi ai quali finora non sono stati in grado di prospettare un futuro nel luogo d’origine. Al pessimismo che contraddistingue gli adulti, deve sopraggiungere un’idea di futuro concreta, autonoma, lontana dal clientelismo e dall’attesa ma vicina ad un sistema di rete che unisca la parte civica a quella imprenditoriale, in un circuito che non escluda nessuno e che guardi alle diversità come risorse e non come impedimenti. I segnali non mancano, come accade ad esempio, alle centinaia di ragazzi che hanno dato vita all’esperienza di “Generazione lucana”, unico esperimento di costruzione dell’agenda politica dal basso, che dopo un lungo confronto fra giovani lucani ha individuato i tasselli che potrebbero costruire la Basilicata del futuro, quella dalla quale non fuggire. Prevedibile che l’appuntamento sia stato quasi completamente ignorato dagli esponenti politici, a dimostrazione che il cammino è ancora lungo.
E la Chiesa? Come un novello Caronte, può traghettare questo passaggio epocale della nostra terra, perché ne conosce i bisogni, le necessità, i dubbi. Una Chiesa aperta, schietta e altruista è il veicolo più adatto a raccogliere tutti gli elementi per questa crescita. In nome di un tempo che parli a tutti, nessuno escluso.
(*) direttrice “Logos” (Matera-Irsina)