Elezioni regionali
Il prossimo 24 febbraio, con o senza leader venuti da Roma, i Sardi andranno alla ricerca di 60 nuovi eletti, di uomini e donne pronti a far prevalere gli interessi dei cittadini su quelli dei partiti e ritrovarsi insieme, pur nella diversità di opinioni, nelle grandi battaglie comuni per la Sardegna.
Con la presentazione delle liste la campagna elettorale per l’elezione del nuovo Consiglio regionale della Sardegna, il sedicesimo della nostra storia autonomistica, è ufficialmente partita. In realtà dall’inizio dello scorso autunno coalizioni e candidati presidenti scaldavano i muscoli per una corsa improvvisamente diventata dall’esito incerto. La vittoria, per molti versi inattesa, di Andrea Frailis alle elezioni suppletive di domenica scorsa ha restituito speranze ai partiti del centrosinistra e seminato dubbi nello schieramento di centrodestra.
Con questo stato d’animo iniziano l’avventura verso il 24 febbraio 7 candidati presidenti, quasi 1.400 candidati (circa uno ogni 1.100 sardi) distribuiti in 24 liste, 8 per il centrosinistra guidato da Massimo Zedda, 11 per il centrodestra di Christian Solinas, una sola lista per Sardi Liberi di Mauro Pili, Partito dei sardi con Paolo Maninchedda, Movimento 5 Stelle con Francesco Desogus, Autodeterminatzione con Andrea Murgia e Sinistra sarda con Vindice Lecis.
Con una preoccupazione trasversale, comune a tutti: l’astensionismo record. Hanno votato solamente 39.101 elettori (15,54%) dei 251.649 aventi diritto. Una fuga dalle urne che tutti sperano passeggera, dovuta a un’elezione ininfluente sulle sorti del governo nazionale e con nessuna ricaduta sulla Sardegna. Se così non fosse, infatti, si dovrebbe parlare del distacco totale del popolo sardo dalla classe politica evidentemente considerata dagli elettori non più in grado di governare il Paese. Un deserto nei seggi che contrasta con le migliaia di fan che hanno accompagnato il viaggio in Sardegna di Berlusconi, Di Maio e Salvini. Piazze da tutto esaurito rimaste lontane dalle urne.
Il successo netto, indiscutibile, di Andrea Frailis viene considerato l’esito “normale”, scontato, di una scarsa partecipazione alle urne che ha premiato il partito più organizzato, il Pd, e lo schieramento di centrosinistra notoriamente abituati a cercare nel voto l’occasione per confermare o ribaltare le situazioni politiche, anche di una circoscrizione comunale.
La vittoria di Frailis ha messo le ali ai sogni e alle speranze di un centrosinistra che sembrava rassegnato a finire stritolato nella morsa centrodestra-Cinque Stelle. Massimo Zedda ora può rilanciare la sua coalizione con qualche possibilità di successo, se non altro di finire la corsa per le regionali in seconda posizione. Gli manca un tassello per giocare la partita ad armi pari con la corazzata del centrodestra: l’accordo con il partito dei sardi di Paolo Maninchedda, che sembra destinato a disporre di due forni dai quali attingere voti: il centrosinistra classico, quello formato dal mondo cattolico fedele interprete della dottrina sociale cristiana, e il sardismo storico che non si rassegna alla deriva leghista del Partito sardo d’Azione.
L’esito delle suppletive toglie tranquillità al centrodestra, che sembrava dover diventare quella che Achille Occhetto avrebbe definito “una gioiosa macchina da guerra”. La pesante sconfitta fa nascere molti dubbi nella coalizione guidata da Christian Solinas. Il primo e più evidente è che il popolo del centrodestra non si è mosso neppure dopo la spinta – avrebbe dovuto essere notevole – di Matteo Salvini, Luigi di Maio e Silvio Berlusconi, i primi due al top degli indici di gradimento. La loro visita anziché far aumentare i consensi, ha prodotto la fuga dai seggi e l’85% di astensionismo. Qualcuno, sicuramente non Solinas, potrebbe pensare che i sardi, nonostante le apparenze – le piazze piene – si siano stancati dei politici venuti da Roma. Potrebbe aver visto giusto, perciò, Andrea Frailis che ha chiesto agli uomini del Pd di rimanere a Roma a discutere ancora una volta di primarie e congresso.
L’elezione di Andrea Frailis ha dimostrato che la corsa elettorale per le regionali più che dai programmi sarà decisa dalla credibilità dei candidati. Passione politica, equilibrio, rispetto verso tutte le persone, attenzione agli ultimi sono qualità che l’ormai ex giornalista di Videolina ha mostrato in 40 anni di professione. Un volto noto e una persona affidabile che hanno convinto gli elettori.
I problemi dell’isola sono noti: al primo posto il lavoro, poi sanità, trasporti, riforma della Regione, decentramento ai comuni, infrastrutture, ambiente, messa in sicurezza del territorio. I sette candidati alla presidenza della Regione parlano delle stesse cose, benché con sfumature diverse che non cambiano la sostanza politica delle proposte. La discriminante sarà data dalle persone che finiranno nei banchi del palazzo del Consiglio di via Roma. Il prossimo 24 febbraio, con o senza leader venuti da Roma, i Sardi andranno alla ricerca di 60 nuovi eletti, di uomini e donne pronti a far prevalere gli interessi dei cittadini su quelli dei partiti e ritrovarsi insieme, pur nella diversità di opinioni, nelle grandi battaglie comuni per la Sardegna.
(*) “Nuovo cammino” (Ales-Terralba)