Socità
Conosciamo la diffusione del cristianesimo delle origini in tutta l’Asia minore e in tutto il Nord-Africa dove fu fiorente fino al settimo secolo. Di esso rimangono le meravigliose testimonianze archeologiche e una sparuta e minacciata presenza cristiana, soppiantata dal travolgente diffondersi del verbo di Maometto. Se succederà anche in Europa non sarà certo per la forza dell’Islam, quanto per la debolezza della nostra identità culturale che ha da tempo abbandonato le proprie radici per dissolversi nel nulla
Più volte abbiamo scritto sul tema del riuso degli edifici di culto, un fenomeno in crescita all’estero, ma anche in Italia. Il 29 gennaio ho letto un articolo allarmato di Mario Giordano alla pagina 12 de “Il Giornale” dal titolo: “Mille moschee in Italia pagate da stati stranieri”. L’articolista elenca una serie di dati a partire dal fatto che i musulmani hanno tentato di comprare una chiesa a Bergamo per farne una moschea. Anche se l’operazione non si è fatta poiché la Regione aveva appena approvato norme antimoschee, la notizia, a dire di Giordano, ha riacceso la luce sulla penetrazione dolce e silenziosa dell’Islam in Italia. “I centri di culto musulmani – scrive – si sono moltiplicati sul nostro territorio: soltanto il Qatar… fra il 2013 e il 2016 ne ha finanziati 43 con un investimento di 25 milioni di euro. Due milioni e mezzo per piantare le tende in mezza Sicilia (Catania, Palermo, Modica, Barcellona Pozzo di Gotto, Mazara del Vallo, Donnafugata, Scicli, Vittoria). Ottocentomila euro per finanziare la maximoschea di Ravenna, … e altri soldi per Colle Val d’ Elsa, Piacenza, Vicenza, Saronno e nel resto d’Italia, dove i pulpiti del Corano sono nati come funghi fino a raggiungere (ultimo censimento disponibile) quota 1251”. Oltre al Qatar, Giordano elenca nuovi finanziatori: il Marocco, la Turchia e soprattutto l’Arabia Saudita, “che – continua l’articolo – ha appena varato una specie di ‘piano Marshall’ per diffondere Maometto in Occidente”.
Per Giordano hanno un valore simbolico fortissimo il seminario vescovile di Asti che diventa un centro di accoglienza per immigrati, gli oratori delle parrocchie che accolgono le celebrazioni del ramadan”. Ed ecco la sua chiave di lettura: “Dialogo? Condivisione? Multiculturalismo? Non scherziamo. “Quello che sta accadendo” ha scritto nel suo ultimo libro Bernard Lewis “è il terzo tentativo dei musulmani di realizzare la missione divina di portare la verità di Dio a tutta l’umanità. Questa volta non sarà tramite l’invasione e la conquista, ma tramite l’immigrazione e la demografia”.
Se si legge bene la storia il fenomeno è antichissimo. Conosciamo la diffusione del cristianesimo delle origini in tutta l’Asia minore e in tutto il Nord-Africa dove fu fiorente fino al settimo secolo. Di esso rimangono le meravigliose testimonianze archeologiche e una sparuta e minacciata presenza cristiana, soppiantata dal travolgente diffondersi del verbo di Maometto. Se succederà anche in Europa non sarà certo per la forza dell’Islam, quanto per la debolezza della nostra identità culturale che ha da tempo abbandonato le proprie radici per dissolversi nel nulla. Cosa può farsene una comunità cristiana sempre più esigua dei seminari ormai vuoti, delle tante chiese deserte, degli innumerevoli conventi dismessi o tristemente abbandonati?
Giordano ci azzecca quando cita il prof. Orsini a proposito delle università: “il dialogo è possibile, l’apertura può essere positiva, ma per non esporci a rischi dobbiamo avere un’identità forte. E mi chiedo che identità forte possa avere questo Paese, in cui a scuola si proibiscono le canzoncine su Gesù, in cui ci si vergogna delle croci, in cui si nascondono nei cessi i quadri della Madonna, in cui si coprono le statue dei musei capitolini (la nostra storia, la nostra cultura) per non disturbare l’ospite islamico. Mi domando come possa un Paese che rinnega così le tradizioni, che è così fragile e incerto nella sua identità, affrontare l’avanzata robusta dell’Islam. Che prima ci porta via la nostra economia, poi ci porta via la nostra anima. Forse perché quest’ultima è già perduta. Ed è perciò, in effetti, che siamo così deboli: se si tagliano le radici, nessuna pianta resta in piedi”.
(*) direttore “Settegiorni dagli Erei al Golfo” (Piazza Armerina)