Società
Merito della canzone di Daniele Silvestri è quello di aver evidenziato, anche con forza brutale, il problema relazionale, segnalando l’incidenza dell’isolamento comunicativo legato ai dispositivi tecnologici (guarda caso, siamo nella settimana dell’Internet Safety Day), tanto che – secondo la canzone – una vita di relazioni vere “non esiste più da almeno vent’anni”. Senza negare la responsabilità personale, il cantautore condanna la passività adulta in un contesto tecnologico dai riflessi antropologici ancora troppo poco considerati
Dal pulpito spesso effimero di Sanremo, nel rito nazionalpopolare più atteso dell’anno, è arrivata una provocazione forse salutare, l’urlo di un adolescente nella canzone di Daniele Silvestri: “Avete preso un bambino che/Non stava mai fermo/L’avete messo da solo/Davanti a uno schermo/E adesso vi domandate se sia normale/Se il solo mondo che apprezzo/È un mondo/Virtuale”.
Colpisce e interroga questo atto di accusa agli adulti (anche il cardinal Gianfranco Ravasi lo ha segnalato con un tempestivo tweet) pronunciato dal ragazzo di nome Argento Vivo (interpretato dal rapper Rancore), che ha sedici anni, ma si sente vivere “in carcere già da dieci”.
Il lungo testo merita di essere scaricato e riletto con attenzione – e perché non proporlo al vaglio critico di in un gruppo di adolescenti? – perché sfodera con l’immancabile parolaccia l’armamentario della contestazione adolescenziale, come l’incomprensione nella propria casa/gabbia, la fuga nella musica/rifugio, il rifiuto della scuola/prigione e perfino la minaccia del suicidio, paventato (ahinoi) come angosciante vendetta.
Un testo che lo stesso autore Daniele Silvestri ha presentato come un cazzotto contro i genitori, scaturito dalla propria esperienza di padre (dei suoi tre figli, due sono adolescenti) e dalla richiesta dei giovani fan che gli avevano indicato il loro disagio come tema ignorato da un Festival quasi sempre scacciapensieri e disincarnato.
Merito del testo di Silvestri è quello di aver evidenziato, anche con forza brutale, il problema relazionale, segnalando l’incidenza dell’isolamento comunicativo legato ai dispositivi tecnologici (guarda caso, siamo nella settimana dell’Internet Safety Day), tanto che – secondo la canzone – una vita di relazioni vere “non esiste più da almeno vent’anni”.
Senza negare la responsabilità personale, il cantautore condanna la passività adulta in un contesto tecnologico dai riflessi antropologici ancora troppo poco considerati.
E quanto esso possa pesare emerge anche dalla ricerca presentata giovedì scorso dall’Iprase su 1600 adolescenti di oggi, intitolata “Generazione Z”, cioè la prima nata dopo il 2000. Sono definiti “veri nativi digitali” e utilizzano “nella quasi totalità” i social network, anche più volte al giorno (62%) e il 15% è sempre connesso. Gli studenti intervistati di “poter comunicare in modo schietto e diretto grazie alla rete e condividere emozioni o intrattenere anche relazioni sentimentali”. È un’autopercezione comprensibilmente positiva, così come il giudizio sulla comunicazione con i genitori, ma la ricerca sociologica andrebbe “corretta” con il punto di vista sanitario di chi riscontra l’insorgere precoce di dipendenze e l’aumento del disagio psichico giovanile.
Ma torniamo ad Argento Vivo che strozza in gola il suo urlo quando, al termine della canzone sanremese, s’incolpa del reato di essere nato. Non c’è proprio altra conclusione?
Daniele Silvestri riconosce che il cazzotto attende una risposta. Tocca forse soltanto a noi adulti costruirla ogni giorno, con pazienza ed ascolto, anche costruendo luoghi di comunità adatti a raccoglierla. Senza l’illusione che – come canta Silvestri – “sia più facile spegnere che cercare un contatto”.
(*) direttore “Vita Trentina” (Trento)