Francesco negli Emirati Arabi Uniti
La portata di quello che è accaduto con il viaggio apostolico “lampo” di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti avrà bisogno di anni per essere compresa. Come spesso ripete il Pontefice, si tratta di “iniziare processi”: è un inizio, certo, ma ormai è stato avviato un cammino e porterà dei frutti, col tempo
Un viaggio apostolico “lampo”, quello di Papa Francesco, svoltosi dal 3 al 5 febbraio negli Emirati Arabi Uniti. Un viaggio breve, di soli tre giorni, ma quanto mai intenso. La portata di quello che è accaduto avrà bisogno di anni per essere compresa. Come spesso ripete il Pontefice, si tratta di “iniziare processi”: è un inizio, certo, ma ormai è stato avviato un cammino e porterà dei frutti, col tempo. Tre i principali avvenimenti della visita di Francesco, invitato dal principe ereditario degli Emirati: il Papa ha partecipato alla “Conferenza globale sulla fratellanza umana”, nel contesto della quale ha tenuto un importante discorso; ha firmato un documento sulla “Fratellanza umana” insieme al grande Imam dell’Università del Cairo, Ahmad Al-Tayyeb; ha celebrato una messa – la prima in pubblico nella Penisola Araba – alla presenza di oltre centomila cristiani, per lo più immigrati di origine asiatica, nello stadio della capitale Abu Dhabi, dove – alta e solenne – è stata innalzata la croce di Cristo. Le parole del Pontefice, e soprattutto il testo siglato con la massima autorità spirituale d’Egitto, devono essere riascoltate e rilette con grande attenzione. È quello che si augura lo stesso Papa Francesco che, insieme ad Al-Tayyeb, ha chiesto che il documento sulla fratellanza diventi “oggetto di ricerca e di riflessione in tutte le scuole, nelle università, negli istituti di formazione…”. Questo scritto è molto breve, di poche pagine, ma estremamente denso: come dei semi promettenti in un terreno fertile, sono state messe per iscritto e condivise alcune idee di cui l’umanità di oggi ha urgente bisogno.
La prima parola chiave è ovviamente “fratellanza”, che nasce dalla fede nell’unico Dio creatore e dà il titolo al testo: “La fede – così inizia il documento – porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”. Un secondo termine chiave è “dialogo”: si dichiara che tra musulmani e cattolici bisogna adottare “la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. La terza parola chiave – il motivo profondo del viaggio apostolico, che ha come immagine-logo la colomba che porta il rametto d’ulivo – è “pace”: “Dichiariamo che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”. E, ancora, continua il documento: “Noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo religioso e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Inoltre, senza edulcorazioni, nel documento si attesta la volontà di affrontare in modo nuovo tutta una serie di questioni aperte, che toccano sul vivo sia l’Occidente sia l’Oriente: la famiglia, il rispetto della donna, dei bambini e degli anziani, la libertà di culto e la protezione dei luoghi di preghiera, la libertà della persona, il rispetto delle minoranze… Nel discorso pronunciato nel primo giorno della visita, il Papa aveva detto: “Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro”. Vale a dire che Oriente e Occidente, cristiani e musulmani, hanno bisogno gli uni degli altri per costruire un futuro migliore o – se vogliamo – per renderlo meno peggiore di quello di oggi. Le religioni – sono ancora parole del Papa – devono spendersi “più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace”. Quanto detto e scritto dal Pontefice si colloca all’interno delle indicazioni per il dialogo con le religioni auspicate dal Concilio Vaticano II, nello stesso spirito che animò – con san Giovanni Paolo II – l’incontro interreligioso di Assisi del 1986. Nessuno strappo, quindi, nei confronti del cammino della Chiesa, ma una profonda continuità. Con questo gesto, insieme a numerosi altri (basti pensare all’apertura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia a Banguì, in Mali, nel 2015 o al viaggio in Egitto nel 2017), il Papa sta cercando di togliere ogni riferimento religioso ad ogni forma di terrorismo (e in particolare a quello di matrice islamica). Una parte dell’articolato e complesso mondo musulmano – come testimoniano la disponibilità del principe degli Emirati e del grande Imam del Cairo – sembra accogliere con favore e incoraggiare questo tentativo del Pontefice. Certo, seppure in mezzo a numerose contraddizioni: una fra tutte, la guerra in Yemen, che vede coinvolti proprio gli Emirati, alleati dell’Arabia Saudita. Il rischio di una certa strumentalizzazione è possibile: ad un giornalista, che durante il viaggio di ritorno ha provocato il Pontefice su questa possibilità, il Papa ha risposto che “è parte del lavoro”, cioè ogni iniziativa, anche la più bella, corre il rischio di strumentalizzazioni. Di recente un illustre politologo ha affermato: “Il dialogo si fa con le persone che hai davanti, non con quelle che hai in testa tu”. L’alternativa, infatti, quale sarebbe? Per timore di strumentalizzazioni, restare fermi e non muovere alcun passo?
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)