Verso il voto di maggio
Quando si dice di volere costruire un’altra Europa, si dovrebbe, prima di tutto, considerare quanto c’è stato di buono in questi settant’anni, puntando, semmai, a migliorare quello che ha funzionato meno
L’Azione Cattolica della diocesi ha programmato per venerdì prossimo, 1° marzo, un convegno sull’Unione europea, in continuità con l’iniziativa presa dalla presidenza nazionale dell’associazione il 30 novembre dello scorso anno insieme ad altre sei associazioni. “Il bisogno di promuovere un’iniziativa comune, oggi, nella particolare stagione culturale, politica e sociale che il nostro Paese sta attraversando, alla vigilia delle elezioni europee – ha detto il presidente di Ac, Matteo Truffelli – nasce dalla preoccupazione del peso crescente che stanno assumendo spinte che mirano alla dissoluzione del progetto europeo”. Da allora, analoghe iniziative si moltiplicano da più parti. Il quotidiano Avvenire e l’Agenzia Sir, in particolare, stanno offrendo agli italiani ogni sorta di servizio informativo per accompagnarli, con consapevolezza, a questo importante appuntamento. Il dibattito da tempo in corso nel Paese, infatti, non solo non informa, ma si è rivelato di basso livello e privo di idee per l’Europa del futuro. Siamo di fronte a un preciso disegno che, partendo da aspetti secondari – ad esempio, la critica ai cosiddetti burocrati della comunità – finirà, se non arrestato, per indebolire l’Unione europea. La difesa delle sovranità nazionali (sovranismo) viene preferita alle politiche sovrannazionali – basate sulla comune appartenenza e sui valori della solidarietà e della libertà – che hanno caratterizzato per lunghi anni la missione dell’Unione europea. Al punto che la stessa Europa, che è stata storicamente un modello di ospitalità, ha mostrato recentemente difficoltà ad accogliere 47 naufraghi.
Questi settant’anni hanno rappresentato per cinquecento milioni di cittadini europei non solo il periodo più lungo senza guerre, ma la conquista di valori di straordinaria portata, primo fra tutti la libertà di potersi muovere senza frontiere, nonché l’utilizzo di un’unica moneta. Generazioni di nostri studenti hanno potuto arricchirsi culturalmente, umanamente e professionalmente, grazie allo scambio di esperienze culturali con giovani di altri Paesi. Un richiamo a chi, ancora oggi, prigioniero delle paure, progetta di costruire muri e barriere! Per non parlare dei vantaggi e dell’arricchimento che hanno avuto i vari Stati, compreso il nostro, dalla comune applicazione di procedure – le famose direttive europee – finalizzate a armonizzare le legislazioni nazionali a quelle degli altri Stati nelle varie materie economiche, sociali, sanitarie, ambientali e via dicendo. In più, molti Paesi, grazie ai famosi contributi europei, sono riusciti a realizzare importanti opere strutturali. Un esempio, questo, non sfruttato appieno dall’Italia che, nell’impiego dei contributi europei, è stata sempre il fanalino di coda. E non per colpa dei cattivi burocrati europei, ma per la stoltezza dei nostri amministratori.
Solo chi non ha la cultura e la capacità di valutare questi e tanti altri più considerevoli vantaggi, può mettere in discussione l’edificio comune. Senza, peraltro, avanzare adeguate proposte che vadano nella direzione di migliorare l’Europa e che non rinneghino le motivazioni che stanno a fondamento della sua nascita. E senza considerare, altresì, che le regole e i vincoli, tanto criticati, potrebbero, se osservati, preservare gli Stati, compreso il nostro, dallo strapotere e dall’arroganza dei governanti di turno. Se, ad esempio, i politici del passato non si fossero abbandonati – come, fra l’altro, continuano a fare quelli attuali – a spese folli, spesso per motivi elettorali, trasgredendo le regole europee, non avremmo avuto un debito pubblico tanto elevato. A significare che la presenza e il rispetto di regole comuni non sono sempre, come molti sostengono, una gabbia o l’ostacolo alla crescita, costituiscono, invece, per i cittadini, la migliore difesa nei confronti di chiunque sia al governo. Quando, allora, si dice di volere costruire un’altra Europa, si dovrebbe, prima di tutto, considerare quanto c’è stato di buono in questi settant’anni, puntando, semmai, a migliorare quello che ha funzionato meno. Considerando che soltanto se si ha fiducia nel futuro, saremo portati a costruire, ancora, ponti, strade e ostelli.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)