Infrastrutture
Le opere non conoscono terza via: o si fanno, e cambiano le cose, o non si fanno, e tutto resta come prima. Resta il traforo ferroviario del Frejus, datato 1871. All’epoca un vanto per gli italiani che, sfidando la Francia, lo scavarono in 9 anziché nei 25 anni previsti
Si è deciso di non decidere, rinviando il più possibile. Si è mai visto partire dei bandi per un’opera da ridiscutere? Tra il sì della Lega e il no del Movimento 5 Stelle, l’escamotage è arrivato dal ni temporeggiatore del premier Conte. Ma le opere non conoscono terza via: o si fanno, e cambiano le cose, o non si fanno, e tutto resta come prima. Resta il traforo ferroviario del Frejus, datato 1871. All’epoca un vanto per gli italiani che, sfidando la Francia, lo scavarono in 9 anziché nei 25 anni previsti. A studiarla, la storia regala soddisfazioni.
Il progetto della Tav (treno ad alta velocità tra Torino e Lione) ha quasi trent’anni: nato negli anni ’90, fu inserito dall’Unione europea tra i 14 progetti prioritari delle reti transeuropee di trasporto (Corridoi Ten-T). La Torino-Lione era una tratta del Corridoio 5 che avrebbe unito Lisbona a Kiev. Progetto avveniristico accolto con entusiasmo: il mondo sembrava più piccolo, le capitali europee più vicine. Come oggi argomentano i fautori del sì, consentirebbe Roma-Parigi in sette ore, Roma-Barcellona in otto. Se i lavori si sbloccano lo faremo dal 2030.
Frenano l’opera argomentazioni di varia natura: economica per l’alto costo degli investimenti (cifre ballerine da 30 a 13 a 7 miliardi di euro); politica con l’avversità dei 5S, coronate dalle perplessità dello stesso premier Conte, dichiarate il 7 marzo, giorno della decisione tramutato nell’ennesimo rinvio. Non mancano quelle di natura ambientale, da anni portate avanti dal Movimento No Tav in difesa della Val di Susa. L’ostilità non è figlia di questi giorni: ma ieri sfilava per le strade, oggi siede in Parlamento.
Tra i favorevoli ci sono i governatori del Nord, Emilia Romagna compresa. Non è solo una questione di bandiera, spinge per il sì anche il mondo imprenditoriale, ritenendo l’opera indispensabile al rilancio del Paese. Nei mesi scorsi da Torino sette donne, le madamin, hanno dato vita alla mobilitazione Sì Tav. Da Torino il presidente di Confindustria Boccia ha dichiarato: “La nostra pazienza è al limite”. E appena eletto il nuovo segretario del Pd Zingaretti ha definito “criminale interrompere laTav”.
Spinge per l’opera l’altro partner del progetto, la Francia. Lo fa nel rispetto degli accordi presi e sottoscritti: la Torino-Lione è un progetto esecutivo e come tale è stata più volte passata al vaglio. Anche se le cronache ricordano solo lo studio affidato alla Commissione Ponti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti guidato da Toninelli, la Tav vanta una decina di fasi progettuali, otto delibere del Cipe, sette valutazioni di impatto ambientale, sette tra trattati e accordi internazionali, l’ultimo ratificato dai due Parlamenti di Italia e Francia. Per questo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giorgetti ha ricordato che nessuno, tranne il Parlamento, può fermare la Tav.
Oltre le opinioni, i lavori sono avviati: a gennaio risultavano scavati 25 km di tunnel sui 29 previsti dai lavori preliminari (in tutto saranno 162 km).
Tra tante voci richiama al buon senso il ministro dell’Economia Tria: “Nessuno verrà a investire in Italia se il Paese dimostra che un governo che cambia non sta ai patti, cambia le leggi o le rende retroattive”. Italia sì, Italia no… perché vogliamo restare la terra dei cachi?
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)