Viaggi apostolici
Sarà l’unica visita privata durante il viaggio in Marocco del 30 e 31 marzo prossimo. Come consuetudine, Papa Francesco andrà nelle periferie dimenticate da tutti. A Temara, una città di 300.000 abitanti con grandi sacche di povertà, a 20 km da Rabat, visiterà il “Centre rural de service sociaux” gestito dalle religiose Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. La loro missione è al completo servizio del popolo marocchino.
(da Rabat) – Un incontro privato tra gli ultimi delle periferie, fortemente simbolico dal punto di vista del dialogo e della convivenza pacifica tra cristiani e musulmani: la mattina di domenica 31 marzo, alle 9.30, Papa Francesco andrà in visita a Temara, una popolosa cittadina a una ventina di chilometri a sud della capitale Rabat, sulla costa atlantica. Qui tre suore spagnole della Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli curano da anni, con amore, le ferite del popolo marocchino più emarginato. Per questo le chiamano “rhibat”, che in arabo significa “le sorelle di Dio”. Ferite in senso letterale, perché nel “Centre rural des service sociaux” sono specializzate nella cura delle ustioni che bambini e adulti si procurano accendendo fuochi per cucinare all’esterno di povere abitazioni. Ma anche ferite dell’anima, perché si occupano di pazienti con problemi psichiatrici e neurologici, il 70% sono minori. In più hanno un centro di sostegno scolastico dove 150 bambini dai 3 ai 15 ricevono anche la colazione, il pranzo e la merenda. Si occupano delle famiglie più bisognose e dei neonati, le aiutano con latte, pannolini e buste di alimenti. Organizzano corsi di alfabetizzazione in arabo e laboratori di cucito per 70 donne: molte non sanno nemmeno dare i resti in denaro quando fanno la spesa al mercato. Tante iniziative sociali all’esclusivo servizio dei marocchini in condizione di povertà ed emarginazione. Una esperienza cristiana in terra d’Islam, fondata sul più profondo rispetto reciproco.
Il dispensario per i “brulés”, le vittime di ustioni. Una catalana, una andalusa e una originaria delle Canarie. Le tre religiose sono qui da tanti anni, da quando il dispensario per i poveri fondato da un gesuita francese e medico, padre Couturier, passò nelle mani delle Figlie della Carità. La congregazione ha sede a Parigi e una consistente presenza in Marocco. Attualmente nel Paese magrebino sono sette comunità, una ventina di suore. “Le condizioni di chi viveva in questa zona erano disumane – racconta la superiora, suor Gloria Carrilero, di Barcellona, è qui dal ‘90 -.
Tante persone si ustionavano gravemente e non avevano i mezzi per curarsi.
Padre Couturier li curava con pomate e fasciature apposite. Noi abbiamo mantenuto la tradizione. Ancora oggi vengono ogni giorno una ventina di persone, soprattutto donne e bambini. Se sono ustioni gravi li mandiamo in ospedale, altrimenti vengono curati dalle nostre infermiere”.
Un centro al servizio dei poveri di Temara. Il centro è un posto lindo e ordinato. Appena si entra, sulla destra, c’è un colorato parco giochi per bambini. Le casette dove si svolgono le varie attività sono bianche e verdi, il giardino è curato. Si respira un’aria buona, di serenità, anche se all’esterno gran parte degli oltre 300.000 abitanti di Temara vive in condizioni di precarietà. È un territorio con molta disoccupazione, la gente si arrangia vendendo verdure al mercato, facendo del commercio informale, piccoli lavori nell’edilizia. Lo stipendio medio mensile, senza contratti formalizzati, è di 2.000 diram al mese, circa 200 euro. Così tanti giovani emigrano e tentano la via verso l’Europa: sono i ragazzi “harraga” quelli che bruciano le frontiere pur di partire. Meriem, l’infermiera che lavora al centro, conosce tante mamme che hanno perso figli appena ventenni in mare. “È un dolore immenso. Anche se sanno che è pericoloso i giovani partono lo stesso”, racconta. Musulmana, madre di una figlia e nonna di tre nipoti, descrive l’amicizia con le suore come un legame profondo.
“Siamo una sola famiglia. Loro rispettano la nostra religione e noi la loro. Preghiamo lo stesso Dio, abbiamo gli stessi valori e possiamo vivere insieme in pace”.
Meriem vede il Papa come “un profeta: so che è la più importante autorità per i cattolici e lo considero alla pari del nostro profeta”.
La visita del Papa, “un sogno”. Il ricordo della telefonata del vescovo di Rabat, monsignor Cristobal Lopez Romero, che le informava sulla visita di Papa Francesco, le accende ancora di grandi emozioni. “Non ci potevamo credere, anche adesso ci sembra uno sogno”, racconta suor Magdalena Mateo, spagnola dell’Andalusia:
“Viviamo molto appartate, ben integrate nella società ma nessuno si accorge di noi. Siamo le uniche cristiane in questa zona. E il Papa viene a trovare proprio noi!”
Suor Maria Quintana sorride dolcemente ricordando episodi in cui la gente del posto le ha aiutate a superare piccoli e grandi inconvenienti: una gomma bucata, un piccolo incidente, un Sos nel cuore della notte. “Ci dicono: noi sappiamo che lo fate per Dio, per Allah. Sanno che siamo consacrate, che viviamo solamente di offerte. Ci considerano amiche e sorelle”.
Un’accoglienza “a braccia aperte”. E come accoglierete Papa Francesco? “A braccia aperte e con semplicità”, rispondono in coro. “Non ci saranno discorsi ufficiali, né saranno presenti autorità. Diremo ciò che sentiremo al momento”. In realtà i preparativi per una bella accoglienza sono già in corso: quella mattina
150 bambini canteranno in arabo, con traduzione in spagnolo, un canto di benvenuto al Papa. Poi lo porteranno ad incontrare i pazienti psichiatrici, gli ustionati, le mamme.
Forse gli faranno vedere la loro piccola cappella, dove una volta a settimana viene un francescano da Rabat per celebrare la messa. “La sua visita sarà un ricordo indimenticabile per noi – concludono -. Ci sembra incredibile che possa venire nella nostra piccola comunità al servizio dei poveri, degli infermi, dei bambini. Vogliamo dirgli che lo aspettiamo con tantissima gioia”.