Europa e sovranismi

La comunione dei popoli

L’Unione europea è in difficoltà perché, invece di governare gli esiti della globalizzazione attraverso una grande realtà solidale, le piccole “patrie” impaurite si sono chiuse nei sovranismi che rischiano di sterilizzare l’Europa

Ci sono riflessioni da fare per i cattolici, derivanti dal magistero della Chiesa, in cui si mettono in discussione la forma di sovranismo che impone chiusure nazionaliste con tentazioni di autoritarismo. Non si mettono in discussione i valori della “patria”, intesa come terra dei padri, e di conseguenza le tradizioni culturali e sociali, fino a quelle alimentari e strumentali.
Quelle, semmai, furono messe in discussione dalla Lega di Bossi. Ciò che è da mettere in discussione ora è l’idea che questa ricchezza sia sempre a rischio quando ci si confronta con persone che derivano da culture diverse. La nostra patria è terra d’approdo con le sue lunghissime rive marine, dove sono arrivate tante genti. Pensiamo alla saga di Roma e al mito di Enea, cantato da Virgilio. Secondo questo racconto, i fondatori di Roma hanno origini mediorientali.
Arrivarono i fenici, i greci, i galli senoni già nel IV secolo avanti Cristo e poi, dopo Cristo, gli unni, i goti, i visigoti, i celti, i longobardi… Se siamo una terra che ha prodotto cultura e arte a livelli elevatissimi, con la stragrande maggioranza di opere d’arte dell’intero globo, è grazie ai confronti e alle contaminazioni culturali. Un’impostazione sovranista contraddice le nostre stesse radici. Il riferimento al magistero si riferisce allo sguardo della Chiesa Cattolica (che significa universale). Già Benedetto XV faceva riferimento alla necessaria comunione dei popoli, determinata dall’atmosfera comune e dalle acque marine le cui libertà di movimento sono simboliche. Il concetto fu ripreso da Giovanni XXIII, il quale fece leva sull’universalità dei diritti umani per indicare la strada della pace.
La Populorum progressio di Paolo VI e la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II si riferirono all’interdipendenza e ne fecero una categoria interpretativa dell’autentico sviluppo. La radice teologica è l’unica grande famiglia umana in cui nessuno è al di sopra e tutti siamo fratelli, figli dello stesso Padre. Oggi, invece che limitare la violenza del mercato finanziario nella globalizzazione, ci si rintana in piccole e deboli identità, incapaci di crescita. Ci si interroga dell’apporto dei cattolici alla politica: ebbene, questo ne è un primo punto in cui si possono innestare i principi fondamentali e fare progetti di governo, che farebbero davvero crescere il nostro Paese in concordia con gli altri. L’Unione Europea era un inizio di questo.
Ora è in difficoltà perché, invece di governare gli esiti della globalizzazione attraverso una grande realtà solidale, le piccole “patrie” impaurite si sono chiuse nei sovranismi che rischiano di sterilizzare l’Europa.

(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)