Global teacher prize
Sarebbe bello che ognuno avesse un prof o un maestro da ricordare, uno che ha impiantato nel cuore la sete di sapere e di una vita da gustare in profondità e pienezza
Forse un qualsiasi studente di una qualsiasi scuola italiana definirebbe da “sfigato” un premio per il prof migliore del mondo (Global teacher prize). Le quotazioni degli insegnati hanno conosciuto tempi migliori. Eppure, a mettere il naso nelle ragioni della vittoria di Peter Tabichi le scoperte abbondano.
Tabichi è un keniano di 36 anni, insegna matematica e scienze alla Keriko Secondary Scholl vicino a Nakuru. La regione è arida, siccità e carestia imperversano. Lo conferma un filmato realizzato per la sua candidatura: nuvole di polvere rossa accompagnano il suo andare in sella ad una vecchia moto.
I suoi studenti non se la passano bene: uno su tre è orfano, o viene da una famiglia povera; il cibo non c’è tutti i giorni per tutti. Anche i suoi giovani conoscono abbandono scolastico, tossicodipendenza, gravidanze precoci, suicidi. La disperazione si insinua nel lusso come nella miseria.
Figlio d’arte, ha definito l’insegnamento un dovere più che una scelta. Vita austera, stile minimal, Peter dona alla comunità l’80 per cento del suo guadagno. Va tra i suoi allievi in jeans e maglione, ma a ritirare il premio a Dubai, lo scorso 24 marzo, è andato con il saio. Peter Tabichi è infatti un francescano. Ama i suoi ragazzi e la sua terra. C’è già chi vede in lui il simbolo di un’Africa giovane e creativa che ci sorprenderà.
Peter fa piantare alberi ai suoi allievi e insegna a trarre elettricità dalle piante. E in una parte del mondo dove la connessione a internet è un mezzo miracolo e c’è un computer per otto classi si può appena intuire quanto tutto questo serva. Non solo: ha fondato il Club della pace dove insegna a dialogare e confrontarsi, organizza tornei sportivi e istruisce tutta la comunità su come coltivare usando poca acqua.
Il suo motto è: “Do more and talk less”, fai di più e parla di meno. A scuola e comunità ha destinato il premio: un milione di dollari. Questo è un maestro che cambia il mondo.
Tra i candidati del Global teacher prize – istituito cinque anni fa da un ricco indiano del cattolico Kerala -, c’era anche un italiano: Giuseppe Paschetto, classe 1955, di una scuola media di Mosso (Biella). Anche lui è un insegnante di matematica. Alternativo: niente compiti a casa, niente libri ma esperimenti che nascono da domande e, attraverso il metodo deduttivo, conducono ad una sintesi. Le sue specialità: ScienzAttiva e MathEmotion; misura il successo scolastico attraverso il Fil (Felicità interna lorda). Dice che la scuola “è il luogo dove ci si aspetta di uscire meglio di come si è entrati”.
Ricorda un po’ il pordenonese Enrico Galiano: un prof che piace ai suoi ragazzi senza la scorciatoia del fingere che non serve studiare. Uno che ha uno stile fresco e l’arte – o il dono – di immediata empatia con gli allievi. Uno che dice: “Un pessimo insegnante ti insegna a pensare come lui, un bravo insegnante ti insegna a pensare con la tua testa”.
Sarebbe bello che ognuno avesse un prof o un maestro da ricordare, uno che ha impiantato nel cuore la sete di sapere e di una vita da gustare in profondità e pienezza.
C’era anche un altro Maestro, nato molto prima dei premi: amava circondarsi dei piccoli. Al posto dei libri e delle leggi ha lasciato due soli comandamenti e li ha testimoniati rinunciando a se stesso per amore dei fratelli e perché fossero (fossimo), innanzitutto, liberi. Di scegliere il bene.
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)