Israele alle urne
Il voto in Israele ha sancito la vittoria del premier uscente Benyamin Netanyahu, che si riconferma così per la quinta volta, la quarta consecutiva, alla guida del Paese. Il commento ai risultati di Janiki Cingoli, presidente del Cipmo, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
“Una vittoria del Centro-destra, ma con diverse incognite”:
sintetizza così, Janiki Cingoli, presidente del Cipmo, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, i risultati del voto in Israele, che hanno visto la vittoria del premier uscente Benyamin Netanyahu, che si riconferma per la quinta volta, la quarta consecutiva, alla guida del Paese. Secondo dati non ancora definitivi, il Likud di Benjamin Netanyahu conquista 35 seggi (+5 rispetto al 2015), lo stesso numero della lista di centro-sinistra “Blu e bianco” guidata dall’ex capo dell’esercito, Benny Gantz. Ma per governare la Knesset, il parlamento israeliano, occorrono almeno 61 seggi su 120. Ed il blocco di Centro-destra ne totalizza 65, contro i 55 del Centro-sinistra. Gantz, invece, paga la débâcle del partito laburista che raccoglie – fino ad ora – solo sei seggi. L’altro partito di sinistra, Meretz, si ferma a 4. Non è andata meglio ai partiti arabi, divisi e penalizzati anche dalla scarsa affluenza al voto della comunità arabo-israeliana. “L’accusa – spiega Cingoli – mossa dalla popolazione araba ai suoi leader è quella di preoccuparsi troppo della questione palestinese e poco dei problemi quotidiani degli arabo-israeliani e della loro richiesta di ascesa sociale”. Netanyahu parla di “vittoria immensa, inimmaginabile”. Difficile da pensare, infatti, dopo i presunti scandali per frode e corruzione che gli sono costati l’incriminazione da parte del procuratore generale Avichai Mandelblit.
Le incognite. “A questo punto la soluzione più probabile per il futuro Governo è quella di una coalizione di centro destra, formata dal Likud insieme al partito religioso Shas, l’Ebraismo unito nella Torah, l’Unione dei partiti uniti della destra, e Israel Beytenu”, commenta il presidente del Cipmo che pure non esclude a priori la possibilità di “un governo di unità nazionale, formato da Netanyahu e Gantz”. Ma prima, afferma Cingoli,
“c’è da capire a chi il presidente di Israele Rivlin deciderà di affidare il mandato di comporre il nuovo Governo, se al premier uscente o a Gantz. Probabile ma non sicuro che vada a Bibi. Se deciderà in base a chi avrà preso il maggior numero seggi, una volta che lo spoglio sarà definitivo, o a chi può più facilmente formare una coalizione. Non sottovaluterei nemmeno la preannunciata incriminazione di Netanyahu che potrebbe pesare nella scelta del presidente”.
Sul probabile governo di coalizione, secondo Cingoli, grava un’altra incognita, vale a dire “le pretese degli alleati di governo che pure escono fortemente ridimensionati dalle urne” e che potrebbero spingere Netanyahu ad aprire canali di dialogo con altre formazioni politiche, quella di Gantz su tutte. Quest’ultimo, annota Cingoli, “potrebbe sicuramente accettare quel piano di pace (Ultimate deal) annunciato da Trump (ammesso che ora lo presenti), piano rifiutato invece dall’ultra destra, e riaprire così i giochi politici”.
Il crollo dei laburisti. Questi i possibili scenari disegnati dalle urne di ieri che pure restituiscono “un partito laburista ai minimi termini”. Il partito, che in passato ha governato più volte il Paese e che ha annoverato tra le sue fila politici come Golda Meir, Yitzhak Rabin e Shimon Peres, riesce a raccogliere solo sei seggi, erano stati 19 nel 2015 conseguiti in coalizione con l’Hatnua di Tzipi Livni. “Se l’affermazione del partito Blu e Bianco di Gantz è forte e evidente, ed esprime anche un certo disagio sociale della società, che chiedeva un cambiamento,
la sconfitta dei laburisti nasce dal fatto che il partito non ha espresso, possiamo dire, nessuna linea politica facendo la fine di molti altri partiti di sinistra in Europa”.
Se è complicato fare previsioni sulla formazione del nuovo Esecutivo, anche il processo di pace, del quale “poco o nulla si è parlato in campagna elettorale, pare ibernato. Ma l’esplosione di nuove crisi – dichiara il presidente Cingoli – pare probabile non tanto in Cisgiordania, anche se è stata annunciata una ulteriore espansione degli insediamenti (ed anche la possibile annessione di una parte di quei territori) – quanto a Gaza. Credo che Netanyahu farà di tutto per evitare un ulteriore conflitto nella Striscia, anche per il prezzo pesante che la popolazione civile israeliana sarebbe chiamata a sopportare”.