Politica
Continuare a essere divisi, così come sono Salvini e Di Maio, su tutti i fronti, dalla famiglia alle politiche immigratorie, dalle grandi opere alle alleanze europee e internazionali, dalle politiche fiscali al reddito di cittadinanza e quota cento, è il peggiore viatico per uscire dalla crisi. Chi deve investire in Italia vuole avere a che fare con una classe dirigente seria, che riscuote credito e ispira fiducia, che dia garanzia di serietà e di rispondenza alle attese
È inutile farsi illusioni, da qui alle elezioni europee del 26 maggio, il passo del governo non potrà che essere incerto, vago e conflittuale. Per il dopo, ogni ipotesi risulta oggi azzardata. Per ora gli italiani devono continuare a accontentarsi degli annunci e delle promesse. Dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza e della quota 100 – i due fiori all’occhiello della Lega e dei 5S – tutto il resto è rimasto e continua a rimanere scritto sul libro delle buone intenzioni. Perfino i due decreti “sblocca cantieri” e “crescita”, tanto necessari per uscire dalla crisi, sono stati approvati con la formula “salvo intese”, a motivo del permanere dei conflitti fra Di Maio e Salvini. I quali, mettendo da parte ogni forma di diplomazia, ora si beccano anche in pubblico. È chiaro che, in queste condizioni, tutto è destinato a degenerare, al punto che il governo stesso, di fronte alla sfilza di dati negativi in economia, ha dovuto prendere atto, anche se a malincuore, del fallimento delle previsioni fatte in passato e a riformularle alla luce della nuova situazione. Cosicché l’anno già definito “bellissimo”, si è trasformato in “anno terribile”. La cartina di tornasole, la prova cioè delle difficoltà in cui si trova il Paese, è emersa nei giorni scorsi in occasione dell’approvazione del documento di economia e finanza (Def) che, come è noto, viene predisposto ogni anno per essere inviato, entro il 30 aprile, alla Commissione europea. Il documento presenta i principali dati – crescita, prodotto interno lordo, andamento del debito e via di seguito – così come scaturiscono dalla situazione economica e indica le misure – non le intenzioni – sulle quali costruire la prossima legge di bilancio. Mentre, nell’indicare i dati della nostra economia, il governo si è dovuto attenere alla realtà conosciuta e documentata da tutti gli organismi, nelle misure da prendere per affrontarla è rimasto, come al solito, sul vago. Il prodotto interno lordo (Pil), la ricchezza, cioè, che si prevede di produrre nell’anno, sarà appena dello 0,1%: l’Italia, sostanzialmente, non crescerà. Il deficit – la differenza fra uscite e entrate – sarà del 2,4%, la spesa, cioè, supererà le entrate e il debito pubblico aumenterà. Bastano questi dati freddi e spesso incomprensibili, per definire fallimentare qualsiasi situazione. In cambio, quali misure propone il governo, visto che si è impegnato a non aumentare l’Iva per il 2020 e per il 2021 per un costo di quasi 50 miliardi e a non introdurre nuove tasse patrimoniali? La solita riduzione della spesa – la spending review – e la revisione delle detrazioni fiscali, è, per ora, la risposta del governo. Cioè, nessuna misura concreta, ma buone intenzioni, visto che ogni tentativo di ridurre la spesa nel passato è naufragato. Con l’aggravante che, pur di continuare a mantenere le promesse elettorali, sono stati previsti altri ambiziosi traguardi, tra cui l’introduzione della flat tax (la tassa piatta) del 15%, voluta dalla Lega e osteggiata dai Cinque stelle. Una misura che costerebbe almeno altri 12 miliardi, per ora introvabili. Se tutte queste problematiche risultano noiose e poco comprensibili, più chiara appare la strada per uscire da questa situazione: riconquistare, prima di tutto, la fiducia di coloro che debbono sostenere la nostra economia e che debbono aiutarci a finanziare il nostro debito. Continuare a essere divisi, così come sono Salvini e Di Maio, su tutti i fronti, dalla famiglia alle politiche immigratorie, dalle grandi opere alle alleanze europee e internazionali, dalle politiche fiscali al reddito di cittadinanza e quota cento, è il peggiore viatico per uscire dalla crisi. Anche perché non si comprende quale modello di società, fra i due, prevarrà: quello della Lega o quello dei Cinque stelle? Litigare e rinviare ogni decisione, anche se non fa diminuire i consensi dei propri elettori, contribuisce a screditare il governo. Perché, se è grave mostrare di essere inaffidabili agli occhi dei propri sostenitori, è ancora più grave esserlo agli occhi degli imprenditori e investitori interni e esteri, gli unici in grado di sostenere la nostra economia. Chi deve investire in Italia vuole avere a che fare con una classe dirigente seria, che riscuote credito e ispira fiducia, che dia garanzia di serietà e di rispondenza alle attese.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)