Politica e società
C’è un dovere di vigilare e di ricordare che i simboli non sono neutri. La storia ce lo insegna in modo drammatico
Ogni classe politica ha i suoi simboli. Oggi, molto più di ieri, una foto o una parola sono capaci di sintetizzare l’anima, il cuore, l’orizzonte di una proposta politica. Il simbolo sintetizza e semplifica, divide e contrappone, crea favore e contrarietà. È lo strumento ideale per chi interpreta la politica nella logica “amico – nemico” indicata dal politologo tedesco Karl Schmitt: il simbolo serve a chiarire i contendenti, chi è a favore e chi contro e a caricare le proprie tifoserie.
Ricordate il “Jobs Act” di renziana memoria o i “mitici” 80 euro, o ancora la “Buona Scuola”?
Erano misure che dovevano simboleggiare la modernità dell’esecutivo e il cambio di passo rispetto ai governi precedenti.
Su tale versante oggi il vicepremier Salvini appare il leader più abile. In questi mesi il leghista ha fornito più di qualche simbolo che ci consente di cogliere “l’anima” della sua proposta politica.
Un porto chiuso, una pistola, un reticolato e ora il grembiule. Sono alcuni dei simboli che raccontano dal versante del Carroccio questa stagione politica in salsa sovranista.
Il porto chiuso è stato, per settimane, il simbolo del blocco della supposta invasione di migranti (molti dei quali preventivamente riconosciuti come terroristi e pericolosi mussulmani integralisti). È stato il simbolo della porta sbattuta in faccia a un’Europa che per troppo tempo (ma anche con ingenti finanziamenti) ha lasciato il nostro Paese a fare i conti con l’emergenza profughi. Peccato poi che nel frattempo gli sbarchi siano continuati ad avvenire (chiedere a Lampedusa per conferme), che i morti in mare non siano cessati, che l’Europa non abbia cambiato linea e invece noi siamo politicamente più isolati di prima.
La pistola è stata lanciata come la sintesi del diritto alla legittima difesa. Peccato poi che intanto a Napoli si continui a sparare e così in altri paesi della Penisola e che la violenza non indietreggi di fronte all’ipotesi di una potenziamento della difesa personale. Anzi.
Il reticolato poi è diventato recentemente, con la visita del ministro dell’Interno al leader ungherese Orban, emblema di presidio del territorio, di respingimento di persone indesiderate, di rifiuto di qualsiasi aiuto ai disperati che arrivano. Non importa se questo vuol dire che il primo ministro ungherese non ha nessuna intenzione di condividere con il nostro Paese la gestione dell’emergenza profughi, non importa se 30 anni fa brindavamo per la caduta del muro di Berlino e auspicavamo “Basta muri”. Ma davvero non importa?
A scuola devono tornare ordine e disciplina e per questo sarebbe auspicabile il ritorno del grembiule. Di sicuro Salvini prima di lanciare la proposta avrà approfondito dal punto di vista pedagogico la questione e avrà valutato le varie urgenze di cui dibattere per il sistema scolastico italiano. Rimane il dubbio che la questione dell’ordine e della disciplina (pur importanti) vadano affrontate in un’altra prospettiva e a partire da una lettura della realtà capace di tener conto dell’attuale complesso e articolato contesto socio-culturale.
Se proviamo a dare una lettura complessiva di questi simboli qualche interrogativo sorge. Qual è il modello di persona e di Paese che il leader della Lega ha in mente? Che importanza ha la dignità della persona? Che spazio per la gratuità e il dono di sé?
Se poi ci aggiungiamo le sue frequenti strizzate d’occhio ad ambienti dell’estrema destra quali Casa Pound e Forza Nuova, gli interrogativi crescono. E non basta certo una spruzzata ogni tanto di religiosità à la carte per tranquillizzare. Di fronte a tutto questo è bene non creare falsi allarmismi, certo. Ma c’è un dovere di vigilare e di ricordare che i simboli non sono neutri. La storia ce lo insegna in modo drammatico.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)