Disarmo
La nave cargo saudita Bahri Tabuk è nel porto di Cagliari dove questa mattina ha già imbarcato 4 container di armi. Sembra che le operazioni di carico siano riprese nel pomeriggio. “Serve un sussulto morale”, dice Pax Christi. L’Italia vende armi anche ai Paesi in guerra. Nel 2018 il fatturato dell’industria militare è stato di 2,5 miliardi
“Dobbiamo un grazie e una vicinanza” agli scaricatori del porto di Genova che con la loro mobilitazione hanno impedito lo scorso 25 maggio alla nave saudita Bahri Yanbuc di “effettuare il suo carico di materiale da guerra. Ma la vigilanza deve continuare”. Lancia un monito mons. Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi Italia, che nell’editoriale dell’ultima newsletter dell’organizzazione mette in guardia dai “tanti segnali di guerra” in atto come “le manovre per una prossima guerra all’Iran, la fornitura di armi all’Arabia Saudita”, il “coinvolgimento italiano con la Rwm di Domusnovas in Sardegna”. “Continua il lavoro di tanti costruttori di pace, per il disarmo e la nonviolenza”; per questo, afferma, “non perdiamo il coraggio e la speranza”.
Intanto la nave cargo gemella Bahri Tabuk è attraccata nel porto di Cagliari. Raggiunta telefonicamente dal Sir, Cinzia Guaita del Comitato per la riconversione Rwm – l’azienda con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas (Carbonia-Iglesias) che produce mine, bombe e testate per missili – racconta che, “contrariamente a quanto si potesse pensare dalle rotte indicate, la Bahri Tabuk è arrivata nella notte e ha attraccato all’alba nel porto di Cagliari. In prima mattinata sono stati caricati a bordo quattro container da 30 tonnellate di bombe avvalendosi di personale privato e bypassando quello del porto; nel pomeriggio doveva avvenire un altro carico, il più grande di sempre, ma poi la notizia è stata smentita”. “Ora invece – prosegue – secondo fonti delle reti pacifiste e antimilitariste nelle quali è inserito il Comitato, che fa parte della Tavola sarda della pace ed è collegato con la Rete italiana per il disarmo, da circa un’ora sono partiti due nuovi camion dalla fabbrica. Quindi il carico sembra continuare”. “E’ difficile riuscire ad avere informazioni certe perché tutto avviene nella massima segretezza e si incrociano notizie e smentite – precisa la nostra interlocutrice -. Le fonti sono attendibili ma le notizie vanno in direzioni diverse, forse perché la strategia della Rwm cambia in continuazione”. Intanto al porto canale “stanno arrivando i cittadini invitati ad una mobilitazione contro questo carico di bombe che sappiamo destinate all’Arabia Saudita per lo Yemen, in piena violazione della legge 185/90 e del Trattato internazionale sulla vendita delle sul commercio delle armi (Att)”.
“Dobbiamo aprire gli occhi sulle vittime. Non si può ragionare solo in termini di export, profitti, bilanci, e chiudere e gli occhi su un’industria che produce, sì profitti – a differenza di tante altre che sono in crisi –, ma a prezzo di vite umane”, dice al Sir don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. “Le bombe uccidono. Come Pax Christi vorremmo che i temi della pace e dell’impegno per il disarmo entrassero di più nell’agenda politica”, afferma richiamando la già citata legge 185/90 e ricordando l’impegno dell’allora presidente del movimento, don Tonino Bello: “E’ anche grazie a lui se abbiamo questa norma”. Per il sacerdote, “vendere armi all’Arabia Saudita significa diventare complici nei bombardamenti contro la popolazione inerme dello Yemen”. Per questo
“serve un sussulto morale e etico ancorato alla legge, altrimenti saremo complici della più grande tragedia umanitaria del dopo guerra.
Ma uno spiraglio di luce lo hanno già dato gli scaricatori di Genova e, nei mesi scorsi, alcuni sardi che hanno rifiutato una proposta di lavoro alla Rwm. Chi dice no è un segno di speranza”.
Secondo l’ultima Relazione governativa al Parlamento sull’export italiano di armamenti che riporta i dati di autorizzazione e vendita riferiti al 2018 – resa nota dalla Rete italiana per il disarmo – dopo due anni di autorizzazioni complessive per oltre 10 miliardi di euro, il totale riferito allo scorso anno si attesta sui 5,2 miliardi di euro con un calo del 53% rispetto all’anno precedente. A ridurre il totale è l’assenza di “mega-commesse” come quelle per gli aerei al Kuwait e le navi al Qatar. Anche nel 2018 sono stati oltre 80 i Paesi del mondo destinatari di licenze per armamenti italiani. Al vertice della classifica si collocano Qatar, Pakistan, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, seguiti da Germania, Usa, Francia, Spagna e Regno Unito. Completa la “top 10” l’Egitto. Il 72% di autorizzazioni, fa notare la Rete, è rivolto a Paesi non appartenenti alla Ue o alla Nato (rimanendo a circa il 48% per i soli Paesi Mena, cioè del Medio Oriente e Nord Africa). Ma anche a Stati problematici o con situazioni di tensione come Pakistan (207 milioni), Turchia (162 milioni), Arabia Saudita (108 milioni), Emirati Arabi Uniti (80 milioni) ed India (54 milioni), Egitto (31 milioni).
Il fatturato dell’industria militare italiana nel 2018 è pari a circa 2,5 miliardi di euro.