Messaggio/2
“Chi opera nel mondo della comunicazione contribuisce alla ricostruzione del tessuto comunitario con la propria disponibilità a mettersi in gioco e ‘fare rete’, nell’attenzione a lavorare fattivamente a servizio della verità. Lo fa attraverso ‘l’ascolto e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio’. Lo fa educando a non accontentarsi di un messaggio semplificato e diretto. Lo fa aiutando l’inclusione della persona rispetto al territorio culturale in cui vive”. Ne è convinto don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, che riflette sul messaggio di Papa Francesco per 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, sull’ultimo numero del mensile “Vita Pastorale” (giugno 2019). Pubblichiamo il testo integrale della sua riflessione.
«Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre sé stessi per entrare in rapporto con gli altri». A distanza di dieci anni, questa chiave di lettura di Benedetto XVI è ripresa da Francesco nel Messaggio per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra domenica 2 giugno: «Vorrei invitarvi a riflettere sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine».
Il tema trova sintonia anche in parole del Presidente della Repubblica: «Quel che ho sentito e ricevuto in molte occasioni da parte di tanti esprime, soprattutto, l’esigenza di sentirsi e di riconoscersi come una comunità di vita. Significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune. Significa responsabilità…». Non che sia scontato o facile. Sono, infatti, molti i segni che parlano di insofferenza e sfilacciamento del tessuto sociale. Al riguardo, Nando Pagnoncelli fotografa il Paese con l’immagine delle “comunità difensive”: rispetto a un mondo percepito come caotico se non ostile, ci si chiude all’interno di cerchi ristretti, di gusci protettivi, in aggregazioni rassicuranti. In rete il fenomeno è ancor più evidente, per cui – come osserva il Papa – «le community spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono attorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli». La rete rimane risorsa, «possibilità straordinaria di accesso al sapere» e «fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili». Al contempo, si rivela come «uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali».
La fragilità dei legami sociali si riflette in un processo di individualizzazione, che plasma personalità attente a ricorrere agli altri soprattutto per rafforzare il senso di sé. È l’era biomediatica, caratterizzata dalla condivisione in tempo reale delle biografie individuali, dallo storytelling di sé stessi.
«L’ispessirsi delle lenti soggettive con cui si giudica la realtà», osserva Giovanni Orsina, «moltiplica le visioni del mondo, ma ne rende difficile se non impossibile la ricomposizione, e fa delle urgenze psicologiche personali il principale criterio di valutazione e d’azione della sfera pubblica». Vengono a mancare una narrazione e un’interpretazione condivise dei fatti. La stessa libertà può finire intrappolata: non a caso, nel Messaggio, Francesco parla di “eremiti sociali”.
L’immagine ci consegna un tratto distintivo di questa stagione, che ci vede un po’ tutti ricurvi sui nostri schermi digitali, fino a diventare patologico quando isola, divenendo alibi per rifuggire il confronto.
Beninteso: se «quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo», tale risultato non è il frutto velenoso della rete, ma di un processo culturale che nella rete trova un’incredibile possibilità di sviluppo e propagazione. Nel contesto della connessione senza soluzione di continuità diventa ancora più decisivo quanto raccomandava Francesco all’indomani dell’elezione, rivolgendosi proprio a chi si occupa di comunicazione: «Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza».
Le iniziative di formazione
Su questo sfondo si collocano le iniziative di formazione a livello nazionale, regionale e diocesano: penso al corso di educazione alla cultura digitale, realizzato con l’Università cattolica e la collaborazione di Tv2000; al corso Anicec per animatori della cultura e della comunicazione; ai tanti incontri promossi con la Fisc, il Corallo e l’Ordine dei giornalisti. Penso al prezioso ruolo svolto dall’Acec nel sostenere e promuove le Sale della comunità. Penso alle tante proposte educative e formative che i nostri uffici diocesani assicurano a famiglie, parrocchie, scuole, aiutando a pensare e a ricostruire percorsi, appartenenza, comunità.
La Chiesa non assolutizza la rete, né la considera alternativa, ma complementare all’incontro.
Questo criterio, decisivo per un’autentica comunicazione, è declinato dal Papa in alcune esemplificazioni: «Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce sé stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’eucaristia insieme, allora è una risorsa».
Nel Paese, accanto e oltre la tentazione di strutturarsi in comunità difensiva, pulsano domande di segno diverso, che guardano alla comunità come capitale sociale, a dimostrazione che «nessun luogo potrà mai essere un “non luogo” finché ci sarà qualcuno capace di guardarlo e di prendersene cura». Rimandano a testimoni che, nei diversi ambiti, costituiscono la spina dorsale della comunità: «Ho conosciuto in questi anni tante persone impegnate in attività di grande valore sociale», diceva ancora il Capo dello Stato, «e molti luoghi straordinari dove il rapporto con gli altri non è avvertito come un limite, ma come quello che dà senso alla vita».
Chi opera nel mondo della comunicazione contribuisce alla ricostruzione del tessuto comunitario con la propria disponibilità a mettersi in gioco e “fare rete”, nell’attenzione a lavorare fattivamente a servizio della verità. Lo fa attraverso «l’ascolto e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio». Lo fa educando a non accontentarsi di un messaggio semplificato e diretto. Lo fa aiutando l’inclusione della persona rispetto al territorio culturale in cui vive. Si tratta di rinnovare la fiducia che «la nostra identità è fondata sulla comunione e sull’alterità». L’altro ci è necessario, ricorda ancora Francesco, citando san Basilio: «Nulla è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».