“Laureato a Bari, anestesista a Parigi”. Ordini dei medici in campo contro la fuga dei camici bianchi

Una campagna contro la fuga dei medici dall’Italia. A lanciarla è la Fnomceo. Ogni anno, 1.500 medici vanno a specializzarsi all’estero. E non tornano. Costano all’Italia oltre 225 milioni. Tra qualche anno potrebbero mancare gli specialisti necessari

“Laureato a Bari, anestesista a Parigi. Offre l’Italia”. “Laureata a Milano, medico a Berlino. Offre l’Italia”. Come dire: il nostro Paese paga il percorso universitario dei giovani medici e poi li “regala” all’estero perché solo lì possono fare la specializzazione. Sono gli slogan della campagna nazionale lanciata dalla Fnomceo (Federazione degli ordini dei medici) con l’adesione, per ora, di alcuni Ordini locali. La campagna è sui social ma da qualche giorno a Bari e negli altri capoluoghi pugliesi sono comparsi anche manifesti sui muri. Immagini di giovani in camice bianco e dati che evidenziano la fuga dei medici all’estero.

Ogni anno, 1.500 medici vanno a specializzarsi all’estero. E non tornano. Costano all’Italia oltre 225 milioni.

“Ogni anno – spiega al Sir Filippo Anelli, presidente della Fnomceo e dell’Ordine dei medici di Bari – si laureano in medicina tra i 9 mila e i 10 mila studenti, ma non tutti riescono poi a completare il percorso formativo con la specializzazione. Ogni anno ne restano esclusi circa 1.500 che decidono di andare a specializzarsi all’estero. E molti di loro non tornano più, anche perché trovano condizioni retributive e organizzative migliori delle nostre”.

Una fuga di cervelli non più sostenibile per il nostro Paese

“Il loro percorso di studi fino alla laurea – spiega ancora Anelli – costa allo Stato italiano circa 150 mila euro per ogni ragazzo; se sono 1.500 quelli che se ne vanno ogni anno questo si traduce in una perdita di 225 milioni. Non a caso lo slogan della campagna è ‘Offre l’Italia’, ossia l’Italia paga per gli altri”.

Che cosa chiedete allora alle istituzioni?
Che venga garantita ad ogni studente che si iscrive al primo anno una borsa di specializzazione post-laurea – la risposta del presidente di Fnomceo -. Fino all’anno scorso le borse sono state 7000 – 7.500. Ora il ministro Grillo le ha aumentate portandole a 8 mila ma nel frattempo il numero dei medici laureati nel nostro Paese negli ultimi 10 anni, e poi costretti ad ‘emigrare’, sfiora le 10 mila unità.

Un conto è scegliere liberamente di andare all’estero; altra cosa è essere obbligati a farlo.

Nella sola Germania se ne contano 3mila. Non possiamo più permettercelo, soprattutto ora che iniziano a mancare i medici negli ospedali. La carenza di specialisti, ma anche di medici di medicina generale, era prevista da almeno dieci anni. Noi da tempo abbiamo lanciato l’allarme in tutte le sedi ed ora, quando l’ondata di pensionamenti toccherà il suo apice – per il 2025 è attesa la cosiddetta “gobba pensionistica” – se non arriveranno nuove leve a sostituire i sanitari andati a risposo, il Servizio sanitario nazionale rischia di rimanere senza chirurghi, anestesisti, ortopedici, ginecologi, medici di famiglia.

Che cosa non ha funzionato e quale potrebbe essere la soluzione?
Nel nostro Paese resiste il paradosso del non vedere i problemi seri e di muoversi solo di fronte a scenari emergenziali. Ma con soluzioni “creative”, non strutturali e pertanto poco efficaci. Dall’idea, in Veneto, di richiamare in servizio i medici pensionati a quella di impiegare neolaureati negli ospedali al posto degli specialisti; di far arrivare medici dalla Romania ed ora, in Molise, di “arruolare” medici della sanità militare. E’ purtroppo mancata una programmazione seria, efficace e lungimirante da parte del Miur e del ministero della Salute sul fabbisogno di specialisti. Ora occorrerebbe un piano a carattere straordinario e “a scadenza” che, in attesa della formazione di un numero adeguato di nuovi specialisti, permetta agli ospedali di assumere gli specializzandi dell’ultimo anno. Questo metterebbe subito a disposizione 5 mila medici pronti ad essere impiegati nel Servizio sanitario nazionale e, nel contempo, consentirebbe di liberare 5 mila borse per formare colleghi già laureati e che non trovano posto nelle scuole di specializzazione. Permetterebbe inoltre a questi specializzandi dell’ultimo anno di fare esperienza diretta sul campo.