Dopo la vicenda Sea Watch
Non può essere semplicemente una legge dello Stato a definire ciò che è giusto e ciò che non lo è; non è lo Stato a stabilire il vero e il bene. La legge stessa può essere determinata da criteri errati. Cosa è giusto o sbagliato è evidenziato da un confronto con un bene superiore. Spesso il legislatore compila leggi che rispondono a criteri “particolaristici” che possono portare consenso. Ma ciò è inadeguato a definire il bene comune, che deve corrispondere al valore della dignità umana dei cittadini, della giustizia e della pace
Sembra un luogo comune. L’abbiamo sentito dire spesso, ma la vera domanda si pone sui motivi in base ai quali si stabilisce che un’azione è sbagliata. Non può essere semplicemente una legge dello Stato a definire ciò che è giusto e ciò che non lo è; non è lo Stato a stabilire il vero e il bene. La legge stessa può essere determinata da criteri errati. Lo è quando va contro principi etici universali, principi come i diritti umani a cui, tra l’altro, lo Stato italiano ha aderito.
Cosa è giusto o sbagliato è evidenziato da un confronto con un bene superiore. Spesso il legislatore compila leggi che rispondono a criteri “particolaristici” che possono portare consenso. Ma ciò è inadeguato a definire il bene comune, che deve corrispondere al valore della dignità umana dei cittadini, della giustizia e della pace.
Il bene non è determinato dall’interesse egoistico. C’è, in origine, un bene da conoscere e una bontà oggettiva da perseguire. Il discernimento dei cittadini va fatto in una coscienza formata, informata e corretta, e ne può derivare un’obiezione di coscienza che contraddice la legge dello Stato. Inoltre, i fatti sui quali si deve decidere e il loro contesto devono essere conosciuti. Questa riflessione nasce dall’agire della “capitana” Carola Rackete della Sea Watch, entrata di forza nelle acque territoriali per metter in sicurezza la vita dei “profughi” che aveva a bordo.
Così facendo ha disobbedito alle norme di un decreto del Governo, ed è stata per questo arrestata e poi liberata dal giudice. Si era difesa in due modi: a) la legge del mare e il diritto internazionale impongono il salvataggio di chi è in pericolo; b) i diritti umani inalienabili universali vengono prima di tutto. Ci sono gli elementi per un conflitto di coscienza e di diritto. Secondo il gip di Agrigento non andava arrestata, perché la decisione di attraccare a Lampedusa non era stata “strumentale, ma obbligatoria”. Non può neppure essere espulsa, perché la stessa procura ha chiesto che rimanga a disposizione per ulteriori indagini. Lo stesso decreto sicurezza è stato giudicato inapplicabile alle azioni di salvataggio. Se il governo italiano vuole sbloccare la staticità dell’Unione europea, la partecipazione – mancata – agli organismi dell’Ue potrebbe avere maggior successo. I patti possono essere inadeguati perché sono mutate le condizioni, ma per cambiarli non c’è che la via diplomatica. A questo scopo sono utili gli esperti sui trattati e sulle relazioni internazionali, i “professoroni” tanto criticati da questo governo.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)