E-book
Dai “coccodrilli” di Ratzinger all’avvento dei social. Giovanna Chirri, giornalista di lungo corso, autrice dello scoop mondiale delle dimissioni di Benedetto XVI, ci spiega in un e-book come sia cambiato il nostro mestiere, in un panorama mediatico spesso in preda ad un “delirio” di stampo narcisistico, dove alla “qualità” viene preferita la “quantità” e alla “competenza” il sensazionalismo effimero delle “fake news”
Giornalismo, in italiano, troppo spesso fa rima con narcisismo. A testimoniare l’esatto contrario è Giovanna Chirri, giornalista di lungo corso, vaticanista all’Ansa dal 1994 al 2017, ora autrice del blog “Vaticanista sul filo”. Nel suo e-book I coccodrilli di Ratzinger, parte da una vicenda autobiografica – lo scoop delle dimissioni di Benedetto XVI – per riflettere e far riflettere su come sia cambiato il modo di fare informazione a partire dall’irruzione dei social sulla scena mediatica. La sua, così, da vicenda personale diventa vicenda emblematica di un panorama mediatico in cui alla “qualità” dell’informazione si preferisce di gran lunga la “quantità”, e alla “competenza” il sensazionalismo effimero delle “fake news”.
La regola del pomodoro. L’obiettivo di Giovanna Chirri, in queste pagine, è dare un contributo per cercare di contrastare la deriva attuale dell’informazione, sotto gli occhi di tutti senza che però nessuno si ponga seriamente il problema di arginarla. L’autrice sceglie di farlo mettendo in collegamento passato e presente, le regole auree del mestiere e la “deregulation” dominante in quello che una volta era – e dovrebbe restare – un lavoro artigianale. Attraverso alcuni aneddoti vissuti tra scuola di giornalismo, redazioni, servizi esterni, in diverse testate e in un arco di circa 30 anni, Chirri cita esperienze che l’hanno formata. Come la “regola del pomodoro”, appresa appena approdata in sala stampa vaticana: “Se c’è il papa in giro ci devi essere pure tu, perché se gli tirano un pomodoro sulla tonaca, il rosso sul bianco si vede, lo devi vedere e devi poterlo raccontare”. “Scoop mondiale vuol dire che anche io, povera giornalista di agenzia, sono arrivata prima su una notizia storica”, la sua lettura dell’11 febbraio 2013: “E lo scoop mondiale non lo avrei mai fatto se non avessi applicato quotidianamente alcune piccole regole del giornalismo”. Prima di tutte, appunto, la “regola del pomodoro”.
Le cinque “w” nell’era del digitale. Per le vecchie e le nuove generazioni di giornalisti, le cinque “W” (who, what, when, where, why) restano comunque l’abc del mestiere. L’agilità, il linguaggio, le misure dell’agenzia di stampa – il paradosso attuale – da un lato sembrano più congeniali al web, dall’altro però quella che è la forza della cronaca, eterno “canovaccio” per qualunque altro tipo di giornalismo, viene sacrificata in nome del “dio aggiornamento”, che riduce sempre di più la durata di un dispaccio, superato ormai in velocità dai tweet e dai vari siti pirata di notizie. “In parte l’enfasi e la bassa letteratura prestate alla cronaca e, credo in misura maggiore, interessi editoriali che poco hanno a che fare con l’informazione – la tesi di Giovanna – si sono saldati nello snaturare questa forza delle agenzie, trasferendole sul web insieme allo scimmiottamento del sensazionalismo e della chiacchiera confusa, annullando l’importanza della gerarchia delle notizie a vantaggio della novità”. Il “copia-incolla”, così, regna sovrano, il gusto dell’andare a cercare le notizie è ormai merce rara. Tutto ciò, a scapito del giornalismo come lavoro artigiano, che “richiede non solo velocità e foto e video, ma anche tempo, competenze, pazienza, destrezza, amore per quello che si fa, attenzione al dettaglio”. Oggi, invece, “vediamo come tutta l’informazione sia gridata, esasperata, tifosa, e ogni avvenimento raccontato come un derby cittadino. È ancora informazione?”.
La misura del degrado. “La misura del degrado nel mondo dei media emerge anche da due fattori collegati alla rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI”, sostiene Chirri sulla base del clima vissuto in quei giorni, a cui nessun vaticanista, neanche quello più esperto, era preparato: “Alcuni colleghi hanno commentato che non si trattava di uno scoop perché sarebbe bastato aspettare due ore e il portavoce padre Lombardi ci avrebbe avvertito. Qualcuno in agenzia è giunto a mormorare perché né papa Ratzinger né nessuno in Vaticano mi aveva preavvertito che il pontefice si sarebbe dimesso: diventava una colpa aver saputo fare il proprio mestiere e aver capito da sola quello che stava accadendo”.
“È sempre più l’immagine, l’apparenza, l’esteriorità, e l’appartenenza a qualche lobby a farla da padrona sulle competenze e la capacità di fare un loro che però resta complicato e dove spesso più che l’apparire o le apparenze, conta la sostanza e la schiena dritta”, il bilancio finale dell’autrice in un panorama informativo dominato dal “delirio” e minato da una crisi di credibilità e autorevolezza.
Solo la cassetta degli attrezzi di un buon giornalista, oggi come ieri, è l’antidoto al cinismo: “Ho raccontato diverse volte come la rinuncia di Benedetto XVI non sia stata la prima volta che ricavavo le notizie del latino, e come quel giorno storico la notizia sia stata compresa e poi diffusa grazie a un mix di mestiere, esperienza, cultura e fortuna di cui il latino era certo parte, ma non in maniera esclusiva. È certo counque che quel giorno sono stata agevolata dall’essere una italiana che ha frequentato il liceo classico negli anni Settanta, e che senza i tanto vituperati e tacciati di inutilità studi classici, lo scoop sicuramente non lo avrei fatto”. E ancora: “Non solo il latino, ma la cultura umanistica in particolare, sono uno dei regali più belli che la vita, grazie ai miei genitori, mi abbia fatto. Per questo l’11 febbraio 2013 sono stata orgogliosa di poter così visibilmente restituire al mio Paese qualcosa, e di poterlo fare solo grazie a una vita passata a fare il mio mestiere, con il cuore, con intelligenza, il rispetto per gli altri e l’onestà. Tutt’oggi ne sono orgogliosa e lo vivo come un’iniezione di felicità”.