Lutto
Per il vescovo Francesco Lambiasi certamente don Mauro Evangelisti, morto nella serata di lunedì 15 luglio dopo una lunga malattia, è la perla di grande valore che lui ha trovato nel campo della sua Chiesa, quando è stato nominato pastore della comunità riminese. Nel 2003 il sacerdote aveva dovuto rinunciare al servizio nella parrocchia di Miramare dopo aver scoperto di essere affetto da Sla. Malgrado ciò, negli anni non è stato assente dalla vita della diocesi e il letto, cui era necessariamente costretto, è diventato il suo pulpito, il luogo della sua testimonianza magari muta di parole, ma ricca di significato e di forza evangelica per chi l’ha conosciuto e amato
Utilizzando un termine biblico, per il vescovo Francesco Lambiasi certamente don Mauro Evangelisti è la perla di grande valore che lui ha trovato nel campo della sua Chiesa, quando è stato nominato pastore della comunità riminese.
Nel 2003 don Mauro aveva dovuto rinunciare al servizio nella parrocchia di Miramare per un grave problema fisico. La collaborazione a San Mauro Pascoli con don Sanzio Monaldini (“vissuta con allegria e grande umanità”) gli permetteva di gestire meglio la situazione.
“Ma un giorno – mi racconta don Sanzio – mi disse: strano, ho faticato a parcheggiare”. Erano i primi sintomi di una malattia molto più grave, poi confermata dal medico: Sclerosi laterale amiotrofica, la tremenda e temuta Sla, malattia neurodegenerativa progressiva che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Graduale, ma inesorabile.
“Ricordo – riprende don Sanzio – che quella sera piansi mentre lui mi consolava dicendo: noi preti siamo come l’altra gente”. E così sarà per molti anni, con gli amici che lo andavano a trovare e invece di uscire col cuore spezzato, ne venivano fuori con il dono del suo sorriso e della sua serenità.
Fisicamente era un calvario. Dopo un po’ di tempo lascia San Mauro (“qui vi sono di peso, diceva, ma non era vero”), poi è presso la Casa del Clero a Rimini, infine, dal 2008, il tempo lungo della malattia invalidante, alla comunità di Montetauro, sempre più immobile. Una sorella ha con lui condiviso ogni momento, fino ad esserne voce, quando lui non aveva più la voce e poi neppure la forza di muovere gli occhi per attivare quelle tecnologie che vengono in soccorso in queste situazioni.
Accanto, sempre gli amici di ordinazione, in particolare don Tarcisio Tamburini, che con lui condividevano la messa settimanale. Del resto don Mauro non era assente dalla vita della diocesi. Il vescovo lo ricordava quasi ad ogni incontro di Presbiterio e lui si teneva bene informato sulle iniziative e la pastorale. Il Signore l’aveva chiamato ad un nuovo servizio e quel letto, cui era necessariamente costretto, è diventato il suo pulpito, il luogo della sua testimonianza magari muta di parole, ma ricca di significato e di forza evangelica per chi l’ha conosciuto e amato.
Primo fra tutti il vescovo, che si è nutrito della sua testimonianza: “Mauro ci dice che la «povertà» rappresentata dal dolore fisico può farsi dono e diventare testimonianza di fede e di amore”. Lunedì 15 luglio, dalle 23.29, la chat dei preti ha iniziato a tambureggiare: “Il Signore è arrivato e ha chiamato il servo don Mauro alle nozze eterne. Mi è appena giunta questa notizia da parte di Benedetta di Montetauro”.
(*) direttore “Il Ponte” (Rimini)