Attualità
Don Camillo tuonerebbe: un partito di destra col rosario in tasca e amico della Russia. Perfino Peppone, grattandosi incredulo la testa, finirebbe col ritenerla “propaganda reazionaria”. In effetti, e fuor di metafora, è difficile ritrovarsi in una cronaca politica che regala tanti colpi di scena: dichiarazioni “di guerra” all’avversario, presunti finanziamenti e svelate mazzette. Si scrive ai giornali, si tuona sui social e ci si stringe poi la mano davanti alle telecamere
Don Camillo tuonerebbe: un partito di destra col rosario in tasca e amico della Russia. Perfino Peppone, grattandosi incredulo la testa, finirebbe col ritenerla “propaganda reazionaria”. In effetti, e fuor di metafora, è difficile ritrovarsi in una cronaca politica che regala tanti colpi di scena: dichiarazioni “di guerra” all’avversario, presunti finanziamenti e svelate mazzette. Si scrive ai giornali, si tuona sui social e ci si stringe poi la mano davanti alle telecamere.
Smarrimento e incomprensione manifestati anche da due intellettuali, entrambi scomparsi novantenni la scorsa settimana: il nostro Andrea Camilleri e la filosofa ungherese Àgnes Heller. Distanti centinaia di chilometri, vite diverse, medesimo addolorato sguardo di chi non si ritrova più.
Per Camilleri l’Europa nata dagli ideali di unione, libertà e democrazia era a rischio “di fallimento o quasi”. Non la riconosceva nella chiusura di oggi: nei muri che sono l’antitesi del suo essere culla di civiltà nata da un crogiolo di popoli, come nell’atteggiamento verso le migrazioni di fronte alle quali “riemergevano con forza gli egoismi nazionali”.
Dissentiva da un certo modo disinvolto di essere alla guida dello Stato: “Sono costretto a considerare quasi estraneo a me l’odierno modo di fare politica. Forse perché sono stato, come dire, educato male”. Lui, un fascista giovinetto che divenne antifascista convinto, un figlio del dopoguerra che non poteva dimenticare lo stile di De Gasperi (democristiano), Luigi Einaudi (liberale), Palmiro Togliatti (comunista), Pietro Nenni e Sandro Pertini (socialisti), Carlo Sforza e Ferruccio Parri (Partito d’Azione). Uomini politicamente divisi ma mai nemici: “A quei tempi, pur combattendoci, avevamo un ideale comune, quello di far risorgere l’Italia dalle sue macerie”.
Questo comune e superiore obiettivo del bene del Paese gli mancava tanto. Per testimoniarlo amava ricordare un episodio: quando De Gasperi, nel ’46, fu convocato a Parigi per relazionare ai vincitori della guerra i propositi del governo italiano, senza alcun protagonismo e in pieno spirito solidale, chiamò a sé Togliatti, Nenni e Sforza e passò la notte a concordare con essi ogni parola del suo discorso: “In quella stanza non c’era solo il democristiano De Gasperi ma l’Italia tutta”. Tanto che “Sforza, notando che De Gasperi aveva la giacca lisa nei gomiti, si levò la sua e gliela diede”. Di questa lealtà aveva nostalgia e gli siamo grati per avercene ricordato il profumo (episodio e virgolettati da “Ora dimmi di te. Lettera a Matilda” la sua autobiografia).
Allo stesso modo la filosofa ungherese Àgnes Heller – ebrea sopravvissuta al lager, perseguita dal comunismo per essersi ribellata all’invasione della Cecoslovacchia dopo la primavera di Praga e per questo espulsa dall’Università, rifugiata in Australia e Canada e da ultimo rientrata in patria – ha finito i suoi giorni temendo il tramonto della democrazia e in Ungheria (considerava l’attuale leader un tiranno) e in Europa. Ne individuava la causa: “Con il nazionalismo etnico, suo e dei suoi amici, Orbàn è un’infezione per l’intera Europa”.
Vittima del nazismo prima e del comunismo poi, a quel sogno d’Europa unita, libera e democratica anche lei aveva creduto, dopo aver provato che il male può nascere da un uomo (Hitler o Stalin che sia) e propagarsi ben oltre i confini di uno Stato.
Con apprensione sentiva che il passato non era più tale e ribussava alla porta: “Per l’Ungheria Orbàn è una sconfitta: da solo in Europa sarebbe irrilevante… Ma dopo le elezioni di maggio i nuovi nazionalismi etnici saranno molto più forti”. Confessava: “Non capisco cosa sta accadendo (…). I valori tradizionali non hanno più influenza, le ideologie negative dei nazionalismi etnici tolgono loro spazio (…). I nazionalismi etnici stessi non lo sanno ancora, ma marciano verso un futuro a rischio di guerra” (Repubblica, sabato 20 luglio).
Tremenda prospettiva bilanciata dalla speranza che il nostro Camilleri riponeva sui giovani: “Hanno un preciso dovere: fare tabula rasa di noi e ridare alla politica la sua etica perduta… Sono sicuro che la mia fiducia non sarà tradita”.
(*) direttore “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)