Industria
Le previsioni per l’anno in corso misurano in negativo il Prodotto interno lordo delle regioni meridionali: -0,3%, a fronte di un +0,3% del Centro-Nord. Crescita sotto zero, insomma. E torna ad allargarsi la forbice con le altre regioni, che pure procedono con fatica rispetto al tasso di sviluppo dell’Unione europea. Così il Mezzogiorno si trova a subire un “doppio divario”, quello dell’Italia rispetto al complesso della Ue e quello del Sud rispetto al Centro-Nord
Bloccato tra “lo spettro di una nuova recessione” e una crescente emigrazione divenuta, questa sì, un “vera emergenza”. È questo il Sud che emerge dalle anticipazioni del Rapporto 2019 della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, l’organismo che dal 1946 è il pensatoio e il punto di osservazione privilegiato sulle regioni meridionali del nostro Paese. Le previsioni per l’anno in corso misurano in negativo il Prodotto interno lordo delle regioni meridionali: -0,3%, a fronte di un +0,3% del Centro-Nord. Crescita sotto zero, insomma. E torna ad allargarsi la forbice con le altre regioni, che pure procedono con fatica rispetto al tasso di sviluppo dell’Unione europea. Così il Mezzogiorno si trova a subire un “doppio divario”, quello dell’Italia rispetto al complesso della Ue e quello del Sud rispetto al Centro-Nord. Qualche segnale più incoraggiante – sempre in termini assai fragili – lo riservano le previsioni per il 2020, ma bisognerà vedere che cosa accadrà di qui ad allora.
La mancata crescita è collegata a un ristagno dei consumi – che nel Centro-Nord hanno recuperato i livelli pre-crisi mentre nel Sud sono ancora sotto del 9% – e a una dinamica molto problematica degli investimenti.
Quelli privati sostanzialmente tengono, ma a tirare sono le costruzioni (+5,3%) mentre gli investimenti per macchinari e attrezzature restano al palo (+0,1% contro il 4,8% del Centro-Nord) e sono questi ultimi a dare il segno della fiducia e della volontà di investire da parte delle imprese. Se non fosse per gli investimenti privati, tuttavia, la situazione sarebbe ancora più negativa: nel 2018 sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro-capite rispetto ai 278 del Centro-Nord. Forse sarebbe il caso di tenere ben presenti questi dati nel dibattito sulle cosiddette “autonomie rafforzate” delle regioni settentrionali più ricche.
Si riallarga anche il divario occupazionale. Negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo di quest’anno, gli occupati al Sud sono calati di 107 unità, nel Centro-Nord sono aumentati di 48 mila. La Svimez stimato che lo scorso anno il “gap” occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord abbia sfiorato i 3 milioni di unità. Non è un caso che tra il 2002 e il 2017 siano emigrate dalla regioni meridionali oltre 2 milioni di persone. Altro che emergenza immigrazione: la “vera emergenza meridionale” è la ripresa dei flssi migratori verso il Centro-Nord e verso l’estero. I cittadini stranieri
iscritti nei registri anagrafici del Mezzogiorno e provenienti dall’estero sono stati 64.952 nel 2015, 64.091 nel 2016 e 75.305 nel 2017. Invece i cittadini italiani cancellati dai registri del Sld per il Centro-Nord e l’estero sono stati 124.254 nel 2015, 131.430 nel 2016, 132.187 nel 2017. “Questi numeri – osserva la Svimez – dimostrano che l’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Tale dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografca assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti”.
L’indebolimento della spesa pubblica nel Sud, di cli si è già accennato, non ha soltanto un impatto negativo sullo svillppo economico, ma incide sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini e alimenta un divario dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali. In gioco, a ben vedere, ci sono diritti fondamentali di cittadinanza, declinati in termini di sicurezza, di livelli di istruzione, di accesso ai servizi sanitari e di cura. “Le carenze strutturali del sistema scolastico meridionale insieme all’assenza di politiche di supporto alle fasce più deboli della popolazione, in un contesto economico più sfavorevole – rileva la Svimez – determinano dal 2016, per la prima volta nella storia repubblicana, un peggioramento dei dati sull’abbandono scolastico”. Il numero di giovani che, conseguita la licenza media, resta fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale raggiunge nel Sud il 18,8%, con punte di oltre il 20% in Calabria, Sicilia e Sardegna.
Nel comparto della sanità il divario emerge già nell’offerta di posti letto ospedalieri: 28,2 unità di degenza ordinaria ogni 10mila abitanti al Sud, contro 33,7 al Centro-Nord. Tale divario cresce in modo macroscopico nel settore socio-assistenziale, in particolare nei servizi per gli anziani: ogni 10mila utenti con più di 65 anni, al Nord sono 88 quelli che usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari, 42 al Centro, appena 18 nel Sud. Per questi motivi la Svimez ritiene urgente “un piano straordinario di investimenti sulle infrastrutture sociali del Mezzogiorno”. Nel dibattito politico, purtroppo, di questa urgenza non c’è traccia se non in misura del tutto marginale e retorica.