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La storia di Zaid, farmacista siriano fuggito dalla guerra: “Me ne sono andato per non uccidere”

Zaid Ameen, radiologo e farmacista siriano, doveva scegliere se entrare nell’esercito o unirsi ai ribelli. Ha preferito una difficile traversata del Nord Africa, fino allo sbarco sull’isola Lampedusa. Accolto dallo Sprar gestito dalla Caritas diocesana di Rieti, ha imparato la lingua e a poco a poco si è inserito nella comunità fino a trovare lavoro in una farmacia cittadina

Continua la catastrofe umanitaria in Siria: le azioni di guerra e i bombardamenti ai danni dei civili non di fermano, e torna ad alzarsi anche la voce di papa Francesco.
Bergoglio ha fatto recapitare dal cardinale Turkson una sua lettera per il Presidente siriano Assad, chiedendo “protezione della vita dei civili, stop alla catastrofe umanitaria nella regione di Idlib, iniziative concrete per un rientro in sicurezza degli sfollati, rilascio dei detenuti e l’accesso per le famiglie alle informazioni sui loro cari, condizioni di umanità per i detenuti politici. Insieme a un rinnovato appello per la ripresa del dialogo e del negoziato con il coinvolgimento della comunità internazionale”.

La Siria è ormai un campo di battaglia, ed è “molto difficile anche comunicare con i miei familiari rimasti lì, per fortuna ci sono i social network a darci una mano”, racconta Zaid Ameen, protagonista di una bella storia di integrazione. E di speranza.

Oggi Zaid è sereno e lavora in un una farmacia del centro storico di Rieti, ma il vissuto che ha alle spalle è tutt’altra cosa, ed è pieno di dolore. Trentaquattro anni, più grande di sei fratelli, Zaid è siriano d’origine ed ha studiato farmacia nel suo Paese: “Ho preso due lauree, una in tecnico di radiologia e una in farmacia, che è sempre stata la mia passione”. Dopo il conseguimento del titolo, inizia a lavorare in un ospedale vicino Damasco, “un lavoro molto difficile e pesante, curavo tanti feriti di guerra, era una situazione di continua emergenza”.
A soli 27 anni, la gestione di un compito gravoso sia materialmente che psicologicamente, perchè “non era tanto la ferita in sè a far male, il dolore veniva dal motivo che l’aveva causata, da tutto lo sfondo della situazione: gente innocente che moriva inutilmente, solo per le questioni dei potenti che le persone comuni nella maggior parte dei casi ignoravano del tutto. Da noi venivano solo i civili, gli ultimi, coloro che pagavano il prezzo altissimo di uno scenario di cui non erano in nessun modo responsabili”.
Nel 2012 Zaid decide di lasciare il suo Paese: una scelta quasi obbligata. “In Siria è obbligatorio fare il servizio militare, e io non volevo. O entravo nell’esercito o mi univo ai ribelli, per cui ho scelto un’altra strada. In caso contrario avrei in qualche modo partecipato alla guerra, a ciò che stava accadendo, e avrei rischiato di uccidere qualcuno”.
La partenza in aereo per il Libano, poi la tappa a Il Cairo, in auto fino a Bengasi e quindi di nuovo in aereo fino a Tripoli. In Libia Zaid si mette alla ricerca di un lavoro, ma senza alcun successo. Qualche mese dopo arriva la decisione di venire in Italia via mare, a bordo di uno sgangherato peschereccio, con un “biglietto” pagato 1200 dollari.

Il viaggio è terribile.

“Non avevo idea di cosa significasse intraprendere un’esperienza simile, mi immaginavo una nave molto più grande, o perlomeno normale, e condizioni certamente diverse. Invece a bordo eravamo 455, assiepati l’uno sull’altro e senza neppure la possibilità di portare una piccola valigia: il nostro unico bagaglio era ciò che indossavamo”.
Una traversata di circa ventidue ore, relativamente tranquilla a causa del mare calmo. Ma sulla terraferma di Lampedusa la situazione è ancor peggiore del viaggio.
“C’erano tantissimi sbarchi, lo scenario era ingestibile. Ricordo che subito dopo la mia arrivò una barca dalla Libia che aveva a bordo con un carico di soli cadaveri: c’erano circa duecento persone morte a causa di un viaggio agghiacciante”.
Dopo un passaggio nell’entroterra siciliano Zaid passa sette mesi in Germania, dove la sua richiesta d’asilo viene respinta, poi arriva in un campo di Roma e finalmente viene accolto in maniera stabile a Rieti, grazie al Progetto Sprar gestito dalla Caritas diocesana. “Dopo solo una settimana dall’arrivo a Rieti la situazione era già tranquilla e normalizzata”, ricorda. “Gli operatori della Caritas sono stati accoglienti e gentili, soprattutto mi hanno fatto un quadro generale sulle cose importanti da sapere per stare in Italia, a partire dall’insegnamento della lingua, della Costituzione. Sono tuttora sempre disponibili ad aiutarmi e naturalmente io ad aiutare loro”.
Grazie ai corsi di italiano Zaid impara velocemente la nostra lingua e l’ordinamento giuridico italiano, e pian piano si inserisce nella comunità cittadina, anche attraverso tirocini formativi e attività aggreganti: “Ho fatto il pizzaiolo, come mestiere non riguardava certo la mia formazione ma era un modo come un altro per non rimanere a casa, per essere incluso in città”.
Una città che lo ha accolto bene, fin da subito: “A Rieti mai un episodio di intolleranza, nè al lavoro nè in altre circostanze, non ricordo nulla di simile”.
Nel febbraio di quest’anno, all’Università di Pavia, l’agognato traguardo dell’adeguamento della laurea siriana a quella italiana, con parecchi esami in più e la tesi. Un impegno che lo porta finalmente ad appuntare sul camice bianco la spilletta che lo identifica come farmacista a tutti gli effetti.
Ogni tanto, inevitabilmente, il pensiero corre alla famiglia lasciata in Siria: “Mi mancano. Vivono nella parte peggiore, la zona in cui hanno usato le armi chimiche. Cerco di sentirli spesso, i bombardamenti sono all’ordine del giorno e non c’è un palazzo rimasto integro. Qui sto bene, ma è normale che mi manchino i familiari, gli amici e il mio Paese, anche se sento un grande distacco dalla politica che ha causato tutto questo”.
Tuttavia, oggi la sua vita è serena e c’è margine anche per progettare un futuro insieme alla sua ragazza, Ola, che nonostante le difficoltà della burocrazia è riuscita a raggiungerlo a Rieti cinque mesi fa.
Mentre ai telegiornali scorrono le immagini del suo Paese martoriato Zaid pensa alla stupidità della guerra, alla sua inutilità: “I risultati sono questi. Ho perso mio padre e non posso abbracciare mia mamma, le mie tre sorelle e i miei tre fratelli, ho visto morire in maniera orribile tante persone care. La guerra è davvero stupida”.