Cinema

Venezia76: settimo giorno alla Mostra. In concorso “The Painted Bird” di Marhoul, “About Endlessness” di Andersson e fuori gara l’hollywoodiano “The King” di Michôd

Il ceco “The Painted Bird” di Václav Marhoul, film storico in bianco e nero dal romanzo di Jerzy Kosiński, e il dramma grottesco “About Endlessness” dello svedese Roy Andersson. Fuori concorso poi c’è il dramma storico targato Netflix “The King” di David Michôd di respiro hollywoodiano

Settimo giorno alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Ecco i titoli in competizione martedì 3 settembre al Lido: il ceco “The Painted Bird” di Václav Marhoul, film storico in bianco e nero dal romanzo di Jerzy Kosiński, e il dramma grottesco “About Endlessness” dello svedese Roy Andersson. Fuori concorso poi c’è il dramma storico targato Netflix “The King” di David Michôd di respiro hollywoodiano; film presentato lunedì 1° settembre in tarda serata. Il punto sulle proiezioni con il Sir e la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) della Cei.

“The King”

Seppur fuori gara, il dramma storico “The King” merita un approfondimento, raccontando l’ascesa di Enrico V sul trono di Inghilterra. Il film prodotto da Netflix è diretto dal regista australiano David Michôd, autore di “The Rover” (2014) e sceneggiatore della serie “Catch-22”; cast di alto livello secondo gli standard hollywoodiani Timothée Chalamet, Joel Edgerton, Robert Pattinson e Lily-Rose Depp. Ambientato nell’Inghilterra del XV secolo, in pieno Medioevo, l’opera racconta il momento in cui il giovane Enrico eredita il titolo di sovrano; un impegno verso il quale è inizialmente incerto e riluttante. Mosso da senso di responsabilità, Enrico V inizia a prendere le prime decisioni sostenuto da una Corte sospettosa e pronta al tradimento. La situazione precipita con la guerra alla Francia. “Se gli avvenimenti storici sono conosciuti” – dichiara Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria cattolica Signis – “del tutto nuovo è il modo con cui il regista li ripropone. Scritto insieme al collegato attore Joel Edgerton, Michôd rilegge la storia in maniera incisiva e cruda con una messa in scena di grande impatto spettacolare. Nelle sequenze della battaglia emerge la potenza del racconto cinematografico e la inevitabile follia della guerra. Stile fluido, pulizia di immagine e presenza scenica degli attori fanno il resto. Film appassionante e per approfondimenti”. “La veste è quella del dramma storico di ambientazione medievale” – aggiunge Sergio Perugini, segretario della Cnvf e membro della giuria Signis – “ma il film di Michôd acquista una forte carica di attualità spingendo il racconto sui temi della verità e della verifica dei fatti. Enrico V è tormentato perché si sente immerso in un ambiente abitato dalla menzogna e dalla corruzione; compie dunque scelte avventate, come l’adesione alla guerra, perché incapace di ascoltare e andare alla radice dei problemi. Il film di fatto umilia le ragioni belligeranti, lasciandole apparire flebili e animate da piccoli egoismi. Il prezzo finale purtroppo sono sempre le vite umane”. Dal punto di vista pastorale, il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti.

“The Painted Bird”

Nato a Praga nel 1960, il regista Václav Marhoul con “The Painted Bird” firma il suo terzo lungometraggio, in concorso a Venezia 76. Prendendo le mosse dal noto romanzo “L’uccello dipinto” di Jerzy Kosiński del 1965, il film racconta il calvario di un bambino ebreo nell’Europa dell’Est durante gli anni aspri della Seconda guerra mondiale. In affidamento presso una vecchia zia, il bambino ben presto rimane solo e si mette in viaggio nelle desolate campagne circostanti imbattendosi in contadini violenti e superstiziosi, ambigue guaritrici, così come in truppe sovietiche e tedesche. Ogni tappa del viaggio è una discesa agli inferi tra angherie e violenze ripetute. “Non è la prima volta che il cinema affronta i temi della Guerra e della Shoah” – indica Massimo Giraldi – “in questo caso però ci troviamo dinanzi a un’opera che sposta ancora più avanti il limite della violenza esibita. Questo ripetersi di crudeltà senza sconti per il protagonista e lo spettatore fa sorgere spontanea la domanda su quale sia il limite tra narrazione e rispetto dello sguardo. I buoni propositi del film di Marhoul annegano nel mare di brutalità insistite, enfatizzate, che disturbano lo spettatore invece che attivare un percorso di sensibilizzazione nei confronti dell’argomento”. “La domanda se sia giusto rappresentare il Male sullo schermo” – rimarca Sergio Perugini – “rimanda agli inizi della storia del cinema; è anche nei primi documenti pontifici, nei ‘Discorsi sul film ideale’ di Pio XII. Bisogna sì dare nome e volto al Male, per riconoscerlo nella Storia e fare memoria per il domani (questo ce lo insegna anche il grande filone su cinema e Shoah); il film di Marhoul si inserisce in questo scenario con validi intenti, ma traballa nel suo percorso sbilanciandosi in una rappresentazione della violenza feroce e gratuita. Lo sguardo dello spettatore diventa sconvolto, incapace di sostenere a lungo lo schermo. Stilisticamente l’opera è elegante, di pregio, con un suggestivo bianco e nero; peccato però che la violenza sfugga di mano e contamini tutto”. Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti per un pubblico adulto.

“About Endlessness”

Il regista svedese Roy Andersson (Göteborg 1943) ha trovato grande consenso internazionale nel 2014 con il suo film “Il piccione seduto su un ramo che riflette sull’esistenza”, titolo con cui ha vinto il Leone d’oro a Venezia 71. La sua inconfondibile commedia amara, un cortocircuito tra dramma e umorismo grottesco, è il sentiero anche del suo ultimo film “About Endlessness” in gara al Lido. In uno scenario europeo non meglio identificato, con salti temporali lungo il XX secolo, Andersson racconta storie di umanità colte nell’attimo della vita quotidiana. “Lo svedese Andersson” – sottolinea Giraldi – “filtra la rappresentazione della realtà attraverso la maschera di uno sguardo grottesco. Gli episodi messi in scena rimandano a una società che vive sul limite della follia; personaggi che strappano sì un sorriso, ma lasciano l’impressione di vivere in una profonda solitudine. Il racconto si struttura come un mosaico sfaccettato e sfrangiato. Un puzzle difficilmente ricostruibile”. “La sua dark comedy” – dichiara Perugini – “era apparsa folgorante nel suo film del 2014. Il ritrovare quel medesimo stile, la stessa modalità di racconto, anche qui in ‘About Endlessness’ appare forse un’operazione stanca e di corto respiro. Innegabile è la bellezza di regia e fotografia, un’opera pittorica di matrice scandinava, ma la narrazione è affannata, a tratti delirante. Un film che si regge sull’immediatezza delle suggestioni, che perdono tuttavia di vigore e incisività lungo i 76 minuti”. Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e per dibattiti.