Viaggi apostolici
“Riconciliazione”. È la parola chiave del viaggio in Mozambico, prima tappa del 31° viaggio internazionale del Papa, che visiterà anche il Madagascar e le isole Maurizio. Già al primo discorso Francesco ha chiesto il “coraggio della pace”, citando San Giovanni Paolo II e Paolo VI. Nella messa finale a Maputo, 60mila persone lo hanno accolto con canti e danze, nonostante la pioggia
“Riconciliazione”. Quando il Papa arriva stadio Maxaquene di Maputo, luogo dell’incontro interreligioso con i giovani, è questa parola – e non il suo nome a sillabe, come accade di solito – che viene scandita a in portoghese. E allora Francesco chiede alla folla festosa di ripeterla insieme a lui, invitando i giovani a “scrivere una nuova pagina di storia” del Mozambico, ad andare oltre l’accordo firmato un mese fa che ha posto fine definitivamente a una guerra fratricida, dopo lo storico accordo siglato nel 1992 grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio. “No alla violenza e sì alla pace”, le prime parole pronunciate nel primo discorso a Maputo, rivolto alle autorità, subito dopo la vicinanza alle popolazioni colpite dai due tifoni dei mesi scorsi. Nel pronunciarle, il Papa cita San Giovanni Paolo II – giunto 31 anni fa in Mozambico – e poi chiede il “coraggio della pace”. “Un coraggio di alta qualità”, precisa: “non quello della forza bruta e della violenza, ma quello che si attua nella ricerca instancabile del bene comune”. Questa volta il pontefice citato è Paolo VI, il primo papa a mettere piede sul suolo del continente africano, esattamente 50 anni fa. E all’insegna della riconciliazione è anche la Messa nello stadio di Zimpeto, periferia nord di Maputo, ultimo momento pubblico della ”due giorni” mozambicana prime delle prossime tappe in Madagascar e Maurizio: davanti a circa 60mila persone che lo accolgono con danze e canti nonostante la pioggia – una vera e propria benedizione, in questo angolo del mondo – Francesco esclama: “Voi avete diritto alla pace”, perché nessun Paese ha un futuro con la vendetta e con l’odio.
“Voi conoscete la sofferenza, il lutto e l’afflizione, ma non avete voluto che il criterio regolatore delle relazioni umane fosse la vendetta o la repressione, né che l’odio o la violenza avessero l’ultima parola”,
l’omaggio del Papa alla travagliata storia del Mozambico, che oggi è un Paese di 30 milioni di abitanti tra i più poveri al mondo. La pace, spiega nel discorso alle autorità, se vuol essere duratura non può essere solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile a “riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, speso dimenticata o ignorata dei nostri fratelli, perché posano sentirsi protagonisti del destino della propria nazione”. Pace è anche cura della casa comune, ricorda Francesco stigmatizzando la “tendenza a saccheggiare e depredare”. “No alla violenza che distrugge, sì alla pace e alla riconciliazione”, l’indicazione di marcia: “Nessuno si senta abbandonato”, in primo luogo i giovani, che in Mozambico sono la metà della popolazione. A loro, durate l’incontro interreligioso a Maputo, Francesco no fa sconti:
“Siate capaci di creare l’amicizia sociale”,
l’invito per farli sentire parte attiva dei destini del proprio Paese. “Non avere paura di sbagliare!”, il messaggio rivolto idealmente a ciascuno di loro: “Possiamo sbagliare mille volte, ma non cadiamo nell’errore di fermarci perché qualcosa non è andato bene la prima volta. L ‘errore peggiore sarebbe quello i abbandonare i sogni e la voglia di un Paese migliore”. È lo sport che “ci insegna a perseverare nei nostri sogni”, spiega il Papa citano il calciatore Eusebio da Silva e la mezzofondista Maria Mutola. “Non è buono darsi per vinti”, incalza Francesco, che poi mima l’importanza del “gesto della mano tesa”.
Quello mozambicano è “un popolo eroico”, “un popolo che è esperto nel soffrire ma mantiene viva la speranza”,
il ritratto tracciato durante l’incontro con il clero nella cattedrale di Maputo. “Non possiamo correre dietro a ciò che si traduce in benefici personali”, ribadisce Francesco: “le nostre stanchezze devono invece essere piuttosto legate alla nostra capacità di compassione”. No alla “mondanità spirituale” e alla paura che “a volte ci paralizza troppo”, con il rischio di “mummificarci”.
“La Chiesa del Mozambico è invitata a essere la Chiesa della Visitazione”, la consegna: “non può far parte del problema delle competenze, del disprezzo e delle divisioni degli uni contro gli altri, ma porta di soluzione, spazio in cui siano possibili il rispetto, l’interscambio e il dialogo”.
“I nostri popoli hanno diritto alla pace. Voi avete diritto alla pace”,
il grido del Papa nella messa finale allo stadio di Zimpeto: “Nessuna famiglia, nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio. L’’equità’ della violenza è sempre una spirale senza uscita; e il suo costo, molto elevato”. “Superare i tempi di divisione e violenza implica non solo un atto di riconciliazione o la pace intesa come assenza di conflitto, ma l’impegno quotidiano di ognuno di noi ad avere uno sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui vogliamo essere trattati”. Un esempio concreto di questo stile di vita il Papa lo ha toccato con mano visitando, prima della messa, l’ospedale di Zimpeto, all’interno del quale la comunità di Sant’Egidio promuove e sviluppa, tra l’altro, il progetto “Dream” a favore dei malati i Aid/Hiv, una vera pandemia in Mozambico. “Non è un atto di delega di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido”, l’omaggio di Francesco.