Società
Pomeriggio di una normale giornata estiva. Squilla il telefono. È la Tim. Grande offerta. Sarà il caldo e la poca attenzione sta di fatto che il nostro uomo pronuncia il fatidico Sì. Il malcapitato (un quarantenne di cultura media, di pazienza media, mediamente abile con le nuove tecnologie e di ingenuità media) cede e anzi dà l’ok anche a rivedere il contratto per il telefono fisso. Inizia così un calvario…
Pomeriggio di una normale giornata estiva. Squilla il telefono. È la Tim. Grande offerta. Sarà il caldo e la poca attenzione sta di fatto che il nostro uomo pronuncia il fatidico Sì. Il malcapitato (un quarantenne di cultura media, di pazienza media, mediamente abile con le nuove tecnologie e di ingenuità media) cede e anzi dà l’ok anche a rivedere il contratto per il telefono fisso. Inizia così un calvario fatto di nuove sim che non arrivano, nuove “scartoffie” per il fisso che non ha le condizioni annunciate, cellulare che non funziona, tentativi ripetuti e vani di parlare con un operatore, dopo essere stato incollato all’apparecchio più di venti minuti e aver digitato in sequenza 1, 2, 4, 1 o forse era il 3? Della serie: “Torni al menù principale”.
Se nella quotidianità di noi mortali ci fosse un episodio del genere una volta al mese, non sarebbe poi neanche grave. Uno si attrezza di pazienza e può superare indenne simili cortocircuiti. Il problema sta nel fatto che è diventata la nostra quotidianità sbattere contro barriere più o meno burocratiche, sistemi in teoria più efficienti ma sicuramente più rigidi, algoritmi sconosciuti, forse anche potentissimi ma che di certo non perdonano, il tutto intrecciato (e qui si rasenta la follia) con sistemi burocratico – amministrativi che spesso devono fare i conti con scarsità di risorse endemiche come nel sistema giudiziario o in quello fiscale.
Certo la standardizzazione dei sistemi attraverso l’uso del web, di app, di chat e quant’altro, dovrebbe velocizzarci la vita. Spesso, però, sorge il dubbio che il ricorso alla rete sia prima di tutto un modo per tagliare i costi (fondamentalmente di personale), senza essere certi di garantire un servizio in più. È quello che abbiamo imparato a conoscere come la “disintermedizione”: ti arrangi a fare quasi tutto senza più bisogno di nessuno (senza alla fine spendere meno!).
Il progresso non si ferma, sia mai e comprendiamo anche i vantaggi che certo ci sono. In alcune occasioni, però, lo confesso: ho nostalgia di una voce umana, di un volto concreto che mi spieghi perché il mio bancomat non funziona, o ancora del benzinaio che si accerta che il mio pagamento al distributore automatico non ha funzionato e si attivi per rimborsarmi, senza che io debba impazzire a mandare mail o contattare call centre vari.
Cosa me ne faccio del mio pacchetto super scontato Office se poi devo perdere giornate per capire come installarlo nelpc che presenta caratteristiche diverse e che nessuno al momento dell’acquisto mi ha spiegato? A cosa serve avere pin vari per i servizi fiscali se poi comunque, per avere le risposte che cerco, devo andare a fare ore di fila all’Inps? Cosa serve il web se per una quasi banale causa in Tribunale mi convocano per un’udienza ogni 8-10 mesi? A cosa mi serve la prenotazione on line della richiesta di passaporto se poi, l’unico modo per arrivare ad averlo in tempo è andare a fare la solita fila in Questura? La tecnologia più è avanzata più pretende che tutti i passaggi funzionino, altrimenti è il caos. Diciamo che su questo versante c’è ancora tanta strada da fare.
La complessità va accompagnata e governata e questo è uno dei compiti fondamentali della politica. In tale prospettiva c’è un’azione che dovrebbe essere una priorità per qualsiasi esecutivo e che non ha colore politico e porterebbe molti risparmi: semplificarci la vita. Se poi questo passa anche attraverso il sentire, una volta di più, qualche voce umana, beh ecco a questo punto non ci dispiacerebbe.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)