Solidarietà
Viaggio tra i progetti in Armenia sostenuti dall’8xmille della Chiesa italiana. A Gyumri un centro diurno di cura per gli anziani e ad Ashotsk un Ospedale gestito da un padre camilliano italiano. Una regione distrutta dal terremoto che ancora oggi fa i conti con la caduta dell’Unione Sovietica. La Chiesa cattolica qui è un “segno” di amore donato a tutti e in modo disinteressato
Se i giovani partono, i genitori si invecchiano soli. Sono tanti qui gli anziani che hanno bisogno di assistenza ma soprattutto di qualcuno che tende loro una mano non lasciandoli soli. È per questo motivo che a Gyurmi la Caritas ha avviato un Centro diurno per anziani. Lo può fare grazie anche ai fondi dell’8xmille che i contribuenti danno alla chiesa cattolica. Un aiuto di 89mila euro per tre anni che riescono a dare un sorriso a queste persone. Gli anziani accendini la musica e si mettono a ballare. C’è chi gioca a scacchi e chi alle carte. “Questa è la loro casa. Qui possono incontrare gente. Parlare. Mangiare. Lavare e stirare la biancheria. Curarsi”, dice un operatore. Il centro si occupa di 60 anziani ma c’è anche un servizio di assistenza a domicilio che permette a 120 persone a anziane di essere seguite e curate.
Ci vuole un’ora di macchina per raggiungere Ashotsk da Gyumri. La strada è dissestata. Siamo su un altopiano a 2mila metri di altezza dove all’orizzonte non c’è nulla. Solo aquile e mucche qua e là fanno compagnia al viaggiatore. Il resto sono colline di colore giallo. È qui che ad un certo punto sbuca praticamente dal nulla l’Ospedale Redemptoris Mater dei Camilliani. Un edificio di 5mila metri quadri tutto a piano terra per evitare che i cali di elettricità possano bloccare gli ascensori. Ad accogliere una delegazione di giornalisti italiani (in Armenia per raccontare i progetti 8xmille della chiesa italiana) c’è padre Mario Cuccarollo vicentino, direttore amministrativo dell’ospedale. Con il terremoto poi il crollo dell’Unione Sovietica anche questo territorio è diventato una zona franca. I camilliani hanno accettato la sfida di tenere aperto l’ospedale. Un’ impresa coraggiosa che rappresenta l’unica possibilità per questa gente di accedere a cura sanitarie ma che ogni anno costa 650mila euro, vissuta sul filo di lana o come dice padre Mario “con l’acqua alla gola” ma sempre nella certezza che la Provvidenza arriva ed è sempre puntuale.
L’ospedale conta oggi 140 dipendenti e serve un bacino di 13mila persone ma arrivano qui a curarsi anche dalla capitale Yerevan e addirittura dalla Georgia perché qui i trattamenti medici costano pochissimo o sono addirittura gratuiti in un paese dove la sanità è a pagamento. Gratuiti sono la pediatria, la maternità, il pronto soccorso così come le visite nei 21 ambulatori distribuiti in tutti i villaggi del territorio e coordinati dall’ospedale. Le malattie più comuni sono quelle legate alla povertà. Arrivano bimbi con disturbi gastro intestinali a causa della poca igiene o addirittura affetti di rachitismo per una cattiva alimentazione e talmente debilitati da non riuscire a tenersi in piedi. D’altronde qui si vive di pastorizia. Anche i bambini vanno al pascolo. E il lavoro è pagato pochissimi con paghe che non superano i 5 euro al giorno. Anche qui in questo luogo sperduto è arrivato il contributo dell’8xmille italiano. La Cei ha donato a questo progetto, nel 2015, 600mila euro per tre anni e nel 2018 ha stanziato 300mila per altri tre anni. ‘Quando i miei superiori mi hanno chiesto di venire qui mi hanno dato solo 10 minuti per pensarci. Ho detto di si è sono rimasto qui 30 anni”, racconta padre Mario. “La nostra presenza qui è un segnale. Di amore a questa terra e a questo popolo dato a tutti e in modo disinteressato”.